ROMA (ITALPRESS) – Tra gli effetti secondari della pandemia ci sono anche quelli sulla salute mentale delle persone. La correlazione è dimostrata da alcuni studi. Tra questi ce n’è uno che riguarda gli anziani, e in particolare quelli affetti da demenza, soggetti questi particolarmente penalizzati dalle restrizioni.
Per Annachiara Cagnin, del Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Padova, “l’isolamento imposto dalla quarantena all’inizio della pandemia ha innescato reazioni psicologiche tanto maggiori quanto più fragili erano le persone prima della pandemia, e tra questi i più fragili tra i fragili sono gli anziani affetti da demenza. Nel 60% di queste persone le modificazioni dei comportamenti abituali hanno avuto come conseguenza un aumento significativo dei disturbi comportamentali, come rilevato da uno studio promosso dalla SINdem – Associazione autonoma per le demenze. Abbiamo notato un aumento dei sintomi d’ansia, soprattutto nelle forme lievi di declino cognitivo, ma anche di apatia e insonnia”.
La situazione difficile che stiamo affrontando ha avuto un impatto anche sulla pratica clinica, riducendo la frequenza delle visite e modificando l’interazione tra medico e paziente: “In totale emergenza, la medicina si è sempre dovuta adeguare senza mai rinunciare al giuramento di Ippocrate – afferma Annachiara Cagnin -. Adesso c’è la tecnologia che – in un perimetro accettabile – permette di conservare il rapporto con i pazienti anche a distanza senza compromettere l’efficacia clinica e terapeutica. Tuttavia, alla medicina 4.0 con le suggestioni più o meno robotiche occorrerà sempre più affiancare una consolidata pratica della medicina territoriale”.
A soffrire di più l’isolamento imposto dalla pandemia, sono le persone che hanno superato i 70 anni: “La nostra umanità è intrisa di affetti, familiarità, rapporti sociali, eventi. A maggior ragione, per chi ha superato i 70 anni la vita dipende molto dalle relazioni e dalle abitudini quotidiane. Per i ‘Grandi Anziani’, poi – sottolinea la professoressa Cagnin -, il delicato equilibrio psico-fisico è sorretto proprio dagli antidoti all’isolamento. Decenni di ricerca hanno dimostrato l’efficacia di programmi per l’invecchiamento attivo che hanno avuto come obiettivi l’abbattimento della solitudine, la socializzazione e il coinvolgimento in attività di svago. Di conseguenza, distanziamento fisico e quarantena hanno inevitabilmente innescato la miccia delle esplosioni comportamentali degli anziani”.
Ma l’impatto riguarda anche chi è non è anziano… “Studio e lavoro sono attività del cervello. Un’aula vera non è animata come quella virtuale. E un ufficio con i colleghi presenti possiede una valenza ben diversa dallo schermo del pc”. Inoltre “azzerare o quasi la normale attività fisica induce danni non solo muscolari o cardiologici, ma incide sulla salute del nostro cervello”. E isolare le persone, dice la professoressa Cagnin, “fa crescere ansia, depressione, insonnia, confusione. Lo stesso cibo rappresentava spesso un pretesto di socialità. La cura del corpo e della mente ora è ancor più fondamentale di prima”.
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