Cronaca

Covid-19, tamponi, immunità e vaccino: ecco le risposte dell’infettivologo

Covid-19, tamponi, immunità di gregge, previsioni, cure e vaccino: ne abbiamo parlato con Antonio Cascio, Direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive del Policlinico di Palermo. Attualmente è anche Professore di Malattie Infettive all’Università degli Studi di Palermo

Professore,
69176 contagi e oltre 6820 deceduti: questi sono i numeri aggiornati ad oggi dalla Protezione Civile e forniti dal Ministero della Salute. Dando un’occhiata ai grafici la curva che indica l’andamento nazionale dei contagi, come quella dell’incremento giornaliero degli stessi, continua a impennarsi verso l’alto, è possibile fare una previsione del momento in cui questa potrà invertire la tendenza e registrare un andamento discendente?
Le misure di distanziamento sociale faranno vedere i loro effetti fra 15 giorni. È difficilissimo poter fare una previsione. Intanto continueremo a vedere l’onda lunga costituita da tutti coloro che si sono infettati. Sono pochissimi in percentuale quelli che moriranno. Ma anche questa piccolissima percentuale sarà fatta, purtroppo, da numeri assoluti significativi.
Costi di produzione elevati, tempi di produzione lunghi o strategia politica: perché il numero dei tamponi è così limitato? O meglio, perché se ne fa un uso così parsimonioso?
Quella di fare pochi tamponi è stata una scelta sbagliata di politica sanitaria. Gli epidemiologi avrebbero dovuto con forza richiedere al Ministero che ne fossero fatti molti di più al fine di limitare e valutare l’entità della diffusione dell’infezione nella popolazione.
Non c’è una reale carenza di tamponi – quelle sorti di lunghi “cotton-fioc” da infilare nel naso fino a toccare la parete posteriore del rinofaringe – ma ciò che continua a mancare sono la reale convinzione da parte del Ministero, di alcuni Assessorati e di molti Dirigenti della Sanità Pubblica che eseguirli sia strategicamente corretto. C’è anche la paura da parte dei centri che eseguono il test di dover condividere personale e apparecchiature con altre strutture. Oltre che di essere sottoposti ad un maggiore carico di lavoro avendo magari carenze di personale. Il problema non è quello di processare i tamponi, ma è quello di andare a casa delle persone ed eseguirlo. Chi lo fa? Per farlo bisogna indossare anche i dispositivi di protezione che non ci sono. In sintesi manca un lucido coordinamento fra i diversi attori che stanno affrontando queste problematiche. Qua l’Italia ha sbagliato! Purtroppo anche l’OMS ha commesso un errore nel dare consigli errati a tutto il mondo. Consigli che – stranamente – l’Italia ha pedissequamente seguito.
Potrebbero esserci molti asintomatici o con sintomi lievi che non potendo fare il tampone continuano a comportarsi da persone sane incentivando inconsapevolmente la diffusione del Covid-19. Questa parsimonia in Italia nell’effettuare i test potrebbe star rallentando la frenata ai contagi? L’esempio della Corea del Sud ne è un pò la prova…
Si, è proprio così. Individuare il maggior numero di positivi mediante test e metterli in quarantena è la strategia vincente. In Corea del sud hanno fatto anche altro con tecnologie di cui anche noi siamo in possesso. Hanno geo-localizzato gli spostamenti delle persone tramite i cellulari e creato dei database idonei per i medici. Meno burocrazia e più soluzioni concrete.
A chi dovrebbe essere effettuato il tampone?
Il tampone dovrebbe essere eseguito almeno a tutti coloro che vengono ricoverati in ospedali e case di cura. L’ingresso in tali strutture di un portatore sano del virus potrebbe avere effetti devastanti. Questo è stato ampiamente dimostrato dalle numerose epidemie intraospedaliere generate da persone asintomatiche. A medici e infermieri, soprattutto quelli impegnati in prima linea (infettivologi, intensivisti, pneumologi, PS e 118) ripeterei il test ogni 10 giorni. Andrebbe fatto anche a tutti coloro che riferiscono al medico curante di avere febbre e sintomi respiratori. Soprattutto se si tratta di persone che sono costrette a lavorare con il pubblico. Infine a tutti i contatti stretti dei casi accertati: sembra una cosa scontata, ma non è ancora stata fatta in tantissimi casi.
Circolano news contrastanti tra chi dice che il Covid19 non attacca i giovani e chi, invece, suggerisce massima allerta anche agli under-30. Facciamo un pò di chiarezza…
Il virus può colpire tutti dal primo giorno di vita fino ai 100 anni, come accade per tutte le malattie. Le persone più anziane e quelle che hanno altre patologie – come il diabete, l’insufficienza renale, l’ipertensione – saranno quelle più soggette a complicanze e purtroppo anche alla morte.
A proposito dell’ “immunità di gregge”: è condivisibile la tesi che ammalandosi oltre il 70% delle persone che popolano un paese si sviluppa una sorta d’immunità tale da poter consentire alla società di convivere con il virus?
Purtroppo essendo un virus nuovo con cui il genere umano non è mai stato a contatto potrà infettarsi il 100% della popolazione. Parlare di immunità di gregge in questa situazione mi sembra assolutamente fuori luogo. Sappiamo bene, inoltre, che ben più alte devono essere le coperture vaccinali quando ci si vuole proteggere da una malattia infettiva.
E sull’origine del virus qual’è la risposta che lei si dà? Ne abbiamo sentite diverse di ipotesi che ne spiegano la provenienza: dal mercato cinese in cui vendono i pipistrelli come alimento alla fuga dal laboratorio di Wuhan…
Sembrerebbe che il Covid-19 provenga dalla mutazione di un Coronavirus proveniente dai pipistrelli e dal pangolino, una sorta di formichiere rivestito di squame. Questo sarebbe poi  passato all’uomo, adattandosi al nuovo ospite e acquisendo la capacità di trasmettersi da persona a persona. Avrebbe fatto il cosiddetto “salto di specie”. Non vi sono elementi per poter escludere la inverosimile ipotesi che possa esser sfuggito da un laboratorio di ricerca in cui tali virus vengono studiati.
Sappiamo che una comitiva di Bergamo si è ammalata mentre si trovava a Palermo… come li avete curati?
Con l’associazione di idrossiclorochina – che è un farmaco antimalarico utilizzato pure per patologie reumatologiche – e con il Lopinaviri/Ritonavir utilizzato solitamente per la cura dell’HIV. Li abbiamo così dimessi dopo il ricovero.
In Sicilia negli ultimi giorni sono arrivati dalla Lombardia numerosi studenti e lavoratori fuori-sede: quali sono le possibili conseguenze?
Le conseguenze purtroppo le stiamo già vedendo. Alcuni ragazzi sono andati a trovare i loro parenti – anche in case di riposo – provocando epidemie intraospedaliere. Molti altri hanno fatto ammalare solo i loro genitori…
Per concludere, quando pensa si possa trovare il vaccino?
Ragionevolmente temo che ci vorranno almeno altri 9 mesi prima che un vaccino possa essere pronto per esser distribuito alla popolazione.
Maria Letizia Modica Alliata

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