Cronaca

Corteo Nazionale contro la violenza maschile sulle donne e di genere a Roma e Messina

Questo 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne e di genere, con più rabbia che mai e per l’ottavo anno consecutivo, Non Una di Meno chiama la marea in piazza. Quest’anno saremo in due città che per noi rappresentano bene l’urgenza di questo momento storico, a Roma e Messina, per permettere a più persone possibile di partecipare e organizzarsi contro la violenza patriarcale!

Torniamo in piazza contro il governo, le sue politiche e le sue retoriche, che si proclama contro la violenza, ma nei fatti ne riproduce e anzi consolida le fondamenta in tutti gli ambiti della vita: dalla scuola, alla famiglia, alle relazioni interpersonali, agli ospedali, ai tribunali, alle politiche pubbliche.

Con più di 100 casi di femminicidi e transcidi dall’inizio dell’anno, a cui si aggiungono, di quelli noti, almeno 12 tentati femminicidi, anche le molestie e le aggressioni omolesbobitransfobiche e razziste sono purtroppo numerose.

Il governo ha prodotto un’opposizione solo formale a questi fenomeni, strumentalizzando gli stupri di Palermo e Caivano, rispondendo a violenza con violenza e militarizzando il linguaggio e i territori considerati “problematici” a causa della povertà e del degrado sociale, evidenziando ed accrescendo un antimeridionalismo sempre più feroce e discriminatorio. Lo stesso governo che ha portato avanti un attacco spietato alle famiglie omogenitoriali, ai percorsi di affermazione di genere, e più in generale alle esistenze delle persone LGBTQIA+ per cui l’Italia, ancora oggi, non garantisce diritti e tutele minime.

Il governo tace anche sulle misure reali per il contrasto alla povertà, come il reddito di autodeterminazione, l’allargamento dei criteri di assegnazione per le case popolari e, più in generale, le garanzie per il diritto all’abitare. Questo attacco sempre più feroce all’autodeterminazione si esprime anche nella recente ma non meno importante cancellazione del reddito di cittadinanza e l’affossamento del — seppur pallido e del tutto insufficiente — tentativo di fissare un tetto per il salario minimo.

Allo stesso tempo, il governo partecipa e finanzia in prima fila l’escalation bellica, con la produzione e invio massiccio di armi, i tentativi di moltiplicare le basi militari, oltre quelle già esistenti (ricordiamo in Sicilia le basi di Sigonella e Niscemi), nonché inasprendo i controlli e la repressione: Venezia e Messina sono territori di sperimentazione per le telecamere a riconoscimento facciale (prodotte in Israele) già testate sui trasporti pubblici di Padova.

Uno strumento spacciato come prevenzione, ma che appunto rinforza la repressione.

Lo stato Italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo e, schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggia di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese.

Il fine ultimo di queste politiche è la conservazione e il rafforzamento della famiglia tradizionale: sotto la retorica sulla natalità, si nasconde la riproduzione della nazione bianca e ciseterosessuale, con precisi ruoli e aspettative di genere. La retorica su famiglia, natalità e Nazione infatti si consolida anche nella chiusura ed esternalizzazione dei confini, nel razzismo di Stato, negli attacchi continui a persone migranti e razzializzate che vengono considerate, strumentalmente, come responsabili di tutti i problemi economici e sociali del paese. Contro i confini, contro la violenza che producono, contro le politiche razziste dello Stato, le persone migranti e le seconde generazioni si organizzano.

Siamo consapevoli però di quanto la violenza si nasconda spesso proprio nelle famiglie, nelle istituzioni e che la cultura di dominazione patriarcale ha la sua massima espressione nella guerra, dove violenza e dominio vengono normalizzati, potere e prevaricazione organizzano tanto le relazioni affettive quanto le relazioni tra Stati.

Non vediamo quindi discontinuità vera tra questo governo di estrema destra della Meloni e i precedenti meno conservatori e nazionalisti. Sappiamo bene che in un presente dominato dal capitalismo neoliberale, non ci sono istituzioni che mettano davvero in discussione le fondamenta costitutive della nostra società, ma tramite il pink, rainbow e green washing, sanno solo rubare contenuti dalle nostre lotte, depoliticizzandoli e sfruttandoli.

Cosa vogliamo?

Una trasformazione radicale della società, consapevoli che non saranno pene più severe, militarizzazione e sicurezza ad azzerare la violenza. Anzi siamo sicurə che l’impianto punitivo del sistema sia parte del problema e non la soluzione;

un pieno riconoscimento e implementazione dei percorsi di educazione al consenso, all’affettività, alla sessualità e alle differenze nelle scuole a partire dalla prima infanzia;

il rifinanziamento dei Centri anti-violenza, presidi fondamentali per il contrasto alla violenza, e l’approccio femminista come criterio fondamentale per l’assegnazione dei bandi, e la marcia indietro della Regione Lazio sulla revoca della delibera che apriva alla casa delle donne Lucha Y Siesta l’uso degli spazi di via Lucio Sestio, a Roma, e che saranno ora messi a bando.

Vogliamo l’autonomia economica per donne e persone lgbtiaq+ attraverso misure reali di sostegno economico, unite a servizi e welfare adeguati e svincolati dalla famiglia nucleare;

una sanità pubblica universale e accessibile, la piena tutela del diritto di aborto e nuovi approcci alla medicina di genere, che garantiscano l’accesso alla salute e all’autoaffermazione di tutte le soggettività fuori da percorsi di colpevolizzazione, patologizzazione e psichiatrizzazione dei corpi;

il cambiamento delle narrazioni e del linguaggio con cui la violenza viene raccontata nei media e nel dibattito pubblico, per uscire dalle logiche di pornografia del dolore e ri-vittimizzazione;

un permesso di soggiorno slegato da qualsiasi ricatto lavorativo e familiare e leggi che consentano a chi nasce in italia in famiglie straniere di avere subito il riconoscimento della cittadinanza.

Vogliamo costruire un mondo diverso, contrario alla logica patriarcale e capitalista del conquista e distruggi. La lotta transfemminista intersezionale si intreccia con la lotta ecologista, con la difesa dei territori, contro le grandi opere inutili, come il Ponte sullo Stretto di Messina, che prevedono un impatto massiccio su aree protette e densamente abitate.

Ribadiamo, infine, il nostro posizionamento anticarcerario, riconoscendo nel carcere una delle peggiori violenze istituzionali, e un chiaro posizionamento in favore del popolo palestinese e della sua liberazione e una visione antimilitarista che ci permetta di evidenziare come i conflitti armati siano l’espressione più terribile della violenza patriarcale.

La rivoluzione sarà transfemminista, o non sarà: Il transfemminismo è ingovernabile!”.

Redazione

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