Durante la propria deposizione davanti la quarta sezione del tribunale di Palermo, il capo della Protezione Civile siciliana Salvatore Cocina ha raccontato le pressioni ricevute dall’imprenditore Paolo Arata per ottenere l’autorizzazione a realizzare degli impianti di bio-gas a Francoforte (SR) e Calatafimi (TP).
Cocina ha testimoniato nell’ambito del processo che vede imputati di corruzione e intestazione fittizia di beni Arata, il figlio Francesco Paolo, il dirigente regionale Alberto Tinnirello e l’imprenditore milanese Antonello Barbieri.
Secondo la deposizione di Cocina, Arata avrebbe presentato all’ex capo del Dipartimento Acqua e Rifiuti della Regione un progetto per la realizzazione di un impianto di biometano. Cocina però si oppose, e non concedette l’autorizzazione alla costruzione della struttura.
“Era un’opera che non mi convinceva perché dietro all’impianto di bio-metano a mio avviso si nascondeva il tentativo di realizzare un termovalorizzatore: una parte dei rifiuti infatti sarebbero stati bruciati. Perciò mi opposi”.
A quel punto Arata avrebbe “ricordato” a Cocina dei propri rapporti politici; al tempo era infatti consulente della Lega. Per convincere Cocina ad autorizzare il progetto, Arata avrebbe fatto leva anche sul ruolo che era in procinto di ricoprire, ovvero capo dell’Arera (Autorità di regolazione per energia, reti e ambienti).
Durante la propria deposizione, Cocina avrebbe fatto anche i nomi di Gianfranco Miccichè, presidente dell’Ars, e di Alberto Pierobon, assessore regionale all’Energia e ai Servizi di Pubblica Utilità. Secondo il teste, entrambi si sarebbero interessati al progetto di Arata.
Il processo parte dalle indagini della Dda palermitana su un giro di mazzette alla Regione siciliana. Tra i fulcri del sistema c’era Vito Nicastri, socio di fatto degli Arata. Nicastri, imprenditore trapanese del settore eolico, è considerato dagli inquirenti uno dei finanziatori del boss latitante Matteo Messina Denaro.
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