Corleone. Il rapporto ‘Dalla Chiesa’ sulla morte di Rizzotto

La storia ha dato ragione al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il cadavere di Placido Rizzotto si trovava proprio dove lui l’aveva indicato, in una foiba di Rocca Busambra a Corleone. Il quotidiano…

di redazione

La storia ha dato ragione al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il cadavere di Placido Rizzotto si trovava proprio dove lui l’aveva indicato, in una foiba di Rocca Busambra a Corleone. Il quotidiano La Repubblica, con un articolo di Romina Marceca, pubblica oggi il rapporto ‘Dalla Chiesa’un documento eccezionale che per la prima volta esce dagli archivi della Camera del lavoro di Corleone, a cui è stato donato dall’Arma. Dalle 50 pagine, che contengono le confessioni di Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, poi ritrattate, e le conclusioni delle indagini, emerge che già nel 1949 un anno dopo l’uccisione del sindacalista della Cgil, Dalla Chiesa era giunto alle stesse conclusioni della polizia che nel 2008 ritrovò i resti ossei di Rizzotto, dopo decenni di indagini, depistaggi e appelli. Un mistero durato 64 anni a causa di un finanziamento negato dal ministero di Grazia e Giustizia. Dalla Chiesa era certo che Placido Rizzotto si trovasse lì era il 18 dicembre 1949 e il capitano allora 28 enne scriveva: “Il giorno 6 di questo mese gli uomini hanno identificato la “Ciacca”. Una grossa pietra venne allora calata con una fune lunga 50 metri circa e si riportò il convincimento che la fatica fosse stata coronata del successo. Due giorni dopo con un sistema a mo’ di carrucola si fece scendere il dipendente carabiniere Notari Orlando che vide prima di svenire figure informi”.Vennero recuperati i resti di tre corpi nel cimitero della mafia corleonese. Uno scarpone americano, un legaccio e una calza furono riconosciuti dai genitori di Rizzotto. Ma per recuperare tutto il corpo occorrevano un milione e 750 mila lire ma il ministero non fece mai arrivare il finanziamento, nonostante il riconoscimento dei genitori davanti al pretore Bernardo Di Miceli , primo cugino del capomafia di Corleone Michele Navarra, mandante dell’omicidio Rizzotto. Fu allora che Luciano Liggio si conquistò la sua prima assoluzione da giovane boss. “Insufficienza di prove” per lui, Criscione e Collura. Nel rapporto Dalla Chiesa riportò anche il nome di Biagio Cutropia. In casa sua era stata trovata una botola coperta da 9 mattonelle. Secondo il capitano lì c’era un covo di Liggio. Nel rapporto lo descriveva così: “La giustizia degli uomini mai l’aveva raggiunto in quanto la sua sanguinarietà era fra gli altri  vittime o non  sinonimo di terrore. A Collura disse che Rizzotto era stato ucciso perché era un tragediatore, una spia, e aveva aggiunto di averlo buttato dentro uno spacco della montagna dove nessuno lo avrebbe trovato”.
I reperti recuperati da Carlo Alberto Dalla Chiesa furono persi tra i labirinti del Tribunale dopo l’inizio del processo. Così la famiglia non ebbe mai, fino al 9 marzo scorso, una tomba sulla quale piangere. Intervenne anche l’Antimafia per smuovere le acque, poi, dal 2008, ci pensò la polizia di Corleone aiutata dai consigli del segretario della Camera del Lavoro, Dino Paternostro, e dai vecchietti del paese.