Commissione antimafia, relazione conclusiva sull’attentato ad Antoci

Commissione antimafia. La notte tra il 17 ed il 18 maggio del 2016, il presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci subisce un attentato. Succede lungo la Contrada Volpe, una piccola strada che attraversa il bosco della Miraglia, collegando il paese di San Fratello a quello di Cesarò.

È l’ennesimo caso, fortunatamente non andato a segno, di omicidio. La storia della cosiddetta Mafia dei Pascoli e delle sue azioni criminali, è puntellata da assassinii portati a termine nei modi più svariati ed efferati. Basterebbe elencarli tutti, a partire dall’1989, così come ha fatto, per esempio Nuccio Anselmi nel suo libro, per capire la gravità della soluzione.

Uomini uccisi con colpi di lupara, bruciati, fatti sparire. Eppure, molti sono i casi ancora irrisolti. Per di più a questa situazione non si è mai pensato di porre un rimedio con un intervento militare, così come si fece a Palermo dopo il periodo delle stragi, lasciando tutto il lavoro alle poche compagnie che presidiano i vari paesi. Cesarò, Troina, Capizzi, San Fratello.

Probabilmente è su questi presupposti che le Commissioni antimafia, hanno basato le loro indagini. Dapprima quella nazionale, guidata da Nicola Morra che si è dichiarato esterrefatto dall’archiviazione del processo. “Sappiamo tutti che su quegli atti giudiziari c’è ancora tanto da lavorare… È un caso complesso, definito come il peggior attentato dopo le stragi del 1992-93 eppure tutto è stato archiviato. Chi sono stati i mandanti? Chi sono stati gli esecutori? L’archiviazione che ho studiato pone interrogativi che credo debbano avere delle risposte”. Adesso da quella regionale guidata da Claudio Fava, che in questi giorni ha presentato le sue conclusioni con la Relazione conclusiva.

Commissione antimafia: le ipotesi di lavoro

La particolarità di quest’ultima è stata nell’aver impostato l’inchiesta sull’attentato al dott. Giuseppe Antoci secondo tre ipotesi che dovrebbero giustificare quanto accaduto quella notte a Contrada Volpe. La prima che ipotizza un attentato mafioso fallito che intendeva eliminare il dottor Antoci; la seconda riguarda la possibilità che si sia trattato di un atto dimostrativo destinato non ad uccidere ma ad avvertire la vittima o altri ambienti criminali locali sui quali far ricadere la responsabilità del fatto.

E per finire l’ipotesi più odiosa: non si tratta di un attentato ma solo una messinscena, che renderebbe Giuseppe Antoci doppiamente vittima, in quanto del tutto inconsapevole di tale simulazione. Stranamente la Commissione in seguito alle udienze svolte, e giunta alla conclusione che delle tre ipotesi, il fallito attentato mafioso con intenzioni stragiste appare la meno plausibile. Stranamente perché sembrava quella più plausibile per spiegare un agguato a colpi di fucile «calibro 12 a palla unica verosimilmente del tipo Cervo o Brenneke» ed il successivo ritrovamento delle bottiglie molotov incendiarie.

Eppure, come si racconta nella stessa Relazione fin da subito il caso non è stato trattato come un attentato ritenuto mafioso con finalità stragista, delegando le indagini alla sola squadra mobile di Messina e al commissariato di provenienza dei quattro poliziotti protagonisti del fatto, fatta eccezione per un contributo meramente tecnico dello SCO e per l’intervento del gabinetto della polizia scientifica di Roma molto tempo dopo. Oltre questo la Commissione ha avanzato molti dubbi in seguito alla ricostruzione dei fatti ed alle udienze svolte. Ecco un estratto della relazione dove si elencano molti dei dubbi emersi.

Lo stralcio della Relazione conclusiva

“Non è plausibile che quasi tutte le procedure operative per l’equipaggio di una scorta di terzo livello, qual era quella di Antoci, siano state violate (l’auto blindata abbandonata, la personalità scortata esposta al rischio del fuoco nemico, la fuga su un’auto non blindata, l’aver lasciato due agenti sul posto esposti ad una reazione degli aggressori…).

Non è plausibile che, sui 35 chilometri di statale a disposizione tra Cesarò e San Fratello, il presunto commando mafioso scelga di organizzare l’attentato proprio a due chilometri dal rifugio della forestale, presidiato anche di notte da personale armato, né è plausibile che gli attentatori non fossero informati su questa circostanza. Non è comprensibile la ragione per cui il vicequestore aggiunto Manganaro non trasmetta le sue preoccupazioni ai poliziotti di scorta di Antoci (per “non agitarli”, sostiene) salvo poi cercare di raggiungerli temendo che potesse accadere qualcosa senza nemmeno tentare di mettersi in contatto telefonico con loro.

Non è comprensibile la ragione per cui non sia stato disposto dai questori p.t. di Messina e dai PM incaricati dell’indagine un confronto tra i due funzionari di polizia, Manganaro e Ceraolo, che su molti punti rilevanti hanno continuato a contraddirsi e ad offrire ricostruzioni opposte.”

Naturalmente la Commissione non porta nuovi elementi utili all’indagine. Ma mette in evidenza alcune discrepanze o leggerezze emerse durante le indagini cha hanno portato a sospettare della stessa bontà delle indagini, chiedendone per questo la riapertura. “L’auspicio è che su questa vicenda si torni ad indagare (con mezzi certamente ben diversi da quelli di cui dispone questa Commissione) per un debito di verità che va onorato. Qualunque sia la verità.”