Coltivare canapa indiana è reato?
Il presente caso riguarda due piantine di canapa indiana (alte 170 e 130 cm., con un diametro, rispettivamente, di 85 e 66 cm.) coltivate da Tizio sul balcone di casa nella piena convinzione della liceità della propria condotta, in quanto destinata esclusivamente al soddisfacimento di un uso personale, anche di tipo terapeutico: Tizio aveva fatto riferimento nelle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio che dava atto dei positivi effetti neuroprotettivi ed antinfiammatori dei cannabinoidi sulla retina, in ragione dell’uveite cronica da cui era affetto.
I Giudici considerano la condotta di Tizio penalmente irrilevante, in quanto:
– la coltivazione non era tecnico-agraria, ma di tipo domestico poichè svolta in forme del tutto rudimentali;
– la stessa consentiva di ricavare un numero complessivo di circa duecentoventi dosi medie singole, escludendo al contempo qualsivoglia finalità di utilizzo non personale della relativa sostanza.
Viene, inoltre, dato rilievo alla totale assenza di elementi sintomatici sia dell’inserimento di Tizio in un mercato illegale che della predisposizione di particolari cautele per aumentare la produzione. La Corte di Cassazione ribadisce, dunque, che “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto” (Sentenza n. 2388/2022).