«No, non esiste la casualità. Ci sono due motivi: il primo era distinguere il film dal grande romanzo, il secondo perché senza la “i” il titolo si trasforma in quel termine, malavoglia, riferito, spesso a sproposito, a chi vive al sud, che nella credenza comune non ha voglia di lavorare. In realtà anche Verga, con estrema ironia, aveva deciso di battezzare così la famiglia di cui si racconta nel libro, che al contrario si ammazza di fatica, lavorando notte e giorno. Un modo dispregiativo che diventa paradossalmente bello, se vogliamo, per indicare chi vive nel Meridione.»
Il film arriva in un momento storico particolare, fra grossi fermenti e accesi dibattiti per quel che riguarda l’immigrazione e gli sbarchi. Anche politicamente, sono tempi grami…
«Sono tempi duri, perché quello che stanno cercando di fare è veramente meschino. Parlo della classe dirigente, che s’inventa invasioni barbariche che non esistono. Le migrazioni sono una costante di tutte le civiltà, di tutti i popoli, di tutti i tempi. Noi stessi siciliani all’inizio del secolo scorso siamo partiti per contribuire alla costruzione della ricchezza in tutto il mondo: in Europa, nelle Americhe, ma persino in Tunisia! In pochi lo sanno, quasi 100.000 siciliani ci sono andati. Gli Stati Uniti, vale a dire la nazione oggi più importante, è stata fatta da migranti: italiani, irlandesi, ispanici, africani… Il loro presidente attuale è un nero, non dimentichiamocelo. Noi ci troviamo in prossimità – appena 300 chilometri – di un Sud, l’Africa, in cui ci sono serie difficoltà, e di conseguenza le persone vengono da noi in cerca di una nuova speranza di vita. È naturale che ciò avvenga! Cosa vengono a fare qui i tunisini e i marocchini? Certo, qualcuno delinque, ma anche alcuni italiani delinquono, e non per questo si pensa di cacciarli tutti. Gli immigrati vengono a cercare un lavoro, e spesso lo trovano fra quelli che noi non vogliamo più fare. Nelle serre, dove c’è l’attività agricola più avanzata in Europa, chi ci lavora? Nella stragrande maggioranza proprio gli africani. Quindi, di che parliamo? Non c’è un’emergenza, è una realtà! Bisogna accettarla. Non puoi costruire i muri sul mare. Non si possono fermare questi flussi spontanei, che c’erano pure nel passato. E continuerà a succedere fintantoché ci saranno popolazioni che stanno male.»
L’appassionata spiegazione del regista in difesa di un fenomeno così indegnamente demonizzato sminuisce un po’ la domanda ironica (ma fortunatamente gratificata da una risposta seria e circostanziata) rivolta all’attore di tutte le sue pellicole.
Albanese, secondo lei Scimeca le affiderà mai un personaggio positivo?
«Personalmente, non mi interessa tanto che sia positivo o negativo (quello non è il mio obbiettivo), ma che riesca credibile all’interno del contesto. Deve essere in qualche modo “positiva” l’interpretazione: purtroppo, il cinema ha bisogno anche di ruoli negativi. Non è una mia aspirazione recitare un “buono”, anzi un attore ha necessità di rivestire ruoli quanto più lontani possibile dal proprio carattere, di cambiare. Fare il cattivo per me è una sofferenza, ma è pure una sfida: quando girammo Placido Rizzotto (dove interpretava Luciano Liggio, n.d.r), alla fine di ogni scena mi sentivo quasi male! Positivo mi auguro sempre che sia l’effetto finale, complessivo: uscire dalla sala con delle domande in testa, delle idee nuove.»
Massimo Arciresi
[fotografie: Massimo Arciresi]
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