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Cinema: Il segno dei tempi, intervista a “I soliti idioti” Biggio e Mandelli

di Massimo Arciresi

Sebbene Francesco Mandelli abbia alle spalle alcuni ruoli per il grande schermo (in Manuale d’amore e Generazione 1000 euro quelli che hanno lasciato di più il segno), lui e Fabrizio Biggio (insieme nella foto di Antonello Albanese) provengono da un seguito programma televisivo, I soliti idioti, incentrato su sketch paradossali abitati da personaggi parimenti sopra le righe, come lo sboccatissimo Ruggero De Ceglie, anziano benestante che infligge ogni sorta di angheria al candido e onesto figlio Gianluca, o la coppia formata da Fabio & Fabio. Fotografie deformate di un’Italia mal sintonizzata con i tempi, dove i rapporti umani si scoprono spesso subordinati a qualcos’altro, che si chiami denaro o status o glamour.

I due attori, l’uno brianzolo, l’altro fiorentino, interpretano tutte le figurine di questo circo degli orrori, e il successo delle loro trovate – allestite prima per Comedy Central, poi per MTV – è stato tale da giustificare una “traduzione” teatrale del loro spettacolo, prima ancora di quella cinematografica sollecitata dal produttore Pietro Valsecchi. Sabato 5 novembre, presso l’Arlecchino di Palermo, in occasione della presentazione del film, omonimo della trasmissione e diretto dal fido Enrico Lando, abbiamo rivolto qualche domanda ai protagonisti, evidentemente soddisfatti di essere riusciti a portare il loro pubblico anche in sala (il lungometraggio è stato primo in classifica per due settimane di fila).

Fabrizio, con Francesco siete affiatatissimi, e si vede. Lui, però, a differenza di te, aveva già fatto del cinema.

FB «Per me è il primo film, sin da subito una terapia d’urto: insieme a Francesco l’ho scritto, interpretato, musicato… Diretto no, ma ogni giorno rompevamo le palle al regista: “Facci quest’inquadratura, facci quell’altra!”. Fare un film è un’opera titanica, non pensavo…  Ne siamo felicissimi, e poi Valsecchi ci voleva in ogni fase della lavorazione, dalla pre-produzione alla post-produzione. (imita Valsecchi) “Dovete imparare a fare un film!”, ci diceva. E noi, sulla nostra pelle, abbiamo imparato.»

A proposito di Valsecchi (che pare vi abbia scoperto tramite suo figlio, vostro fan), senza di lui forse non avreste pensato a un film…

FB «Veramente ci avevamo già pensato, anche perché ce lo chiedevano su YouTube. Avevamo in mente una storia; quando ci ha chiamato Valsecchi, gliel’abbiamo raccontata: “Va benissimo!”. Ed è cominciata l’avventura.»
Come si trasforma una trasmissione di successo, per giunta fatta a sketch, già trasposta a teatro, in un film?
FM «Secondo me mantenendo invariato lo spirito della serie tv e dello spettacolo teatrale. Quello spirito sgangherato, cattivo, cinico, con un linguaggio particolare per il personaggio del padre… La gente fondamentalmente si è affezionata a I soliti idioti proprio per i suoi riferimenti alla quotidianità, vi si parla come fanno tutti al bar, con gli amici. Abbiamo mantenuto queste caratteristiche e le abbiamo inserite in una storia. Chiaramente, non è la trama del secolo, ce ne bastava una molto semplice, che servisse a far ridere il pubblico.»

Avevate considerato di limitarvi solo al paio di personaggi principali o avete immediatamente pensato di coinvolgerne altri?

FB «In una prima stesura c’era qualcosa come dieci personaggi. Volevamo metterci tutto il possibile, ma ci siamo resi conto che sarebbe venuto fuori un film di tre ore. Inoltre, alcuni funzionavano per uno o due minuti, non erano abbastanza cinematografici. Abbiamo tenuto al centro padre e figlio perché, loro, al contrario, al cinema funzionano meglio, anzi, dove li metti stanno. Quindi, abbiamo inserito parallelamente a mo’ di cameo altre tre coppie di personaggi, per mantenere lo spirito del programma tv, con la sua varietà che serve a raccontare un po’ il Paese.»

Inevitabile, quindi, porre al centro di tutte le vicende i De Ceglie…

FM «(ride) Sì, con nostra grande gioia, perché sono due personaggi che ci divertiamo molto a fare, per quanto ci sia dietro una lunga preparazione: per diventare Ruggero mi devo sottoporre a una lunga seduta di trucco, quattro ore e mezzo! Quindi, ci son state delle levatacce, con il caldo e la maschera, che è stata pure migliorata per essere più credibile nelle inquadrature ravvicinate. I De Ceglie hanno un maggiore margine cinematografico, se introdotti in una storia. La loro è una dinamica che potrebbe andare avanti all’infinito. Tanto che poi sul set, c’è stata anche dell’improvvisazione.»

Vi siete divertiti a disseminare per il film qualche omaggio cinematografico, da Ieri, oggi, domani a Una poltrona per due; ma, a monte, i De Ceglie non provengono dal primo episodio de I mostri?

FM «Pensa che noi avevamo visto I mostri in maniera frammentaria: solo qualche episodio, spezzoni beccati in televisione… Ma non c’eravamo resi conto di quanto risultasse alla fine lo stesso identico format de I soliti idioti. E ci ha fatto molto piacere, perché quando provi a inventare qualcosa scopri che qualcuno ha già fatto quel “viaggio” – inteso come idea – prima di te. Dunque, esisteva una versione del nostro lavoro già quarant’anni fa, con il padre che porta il figlio a rubare… Si direbbe che l’Italia sia ferma da allora!»

Giusto un po’ di turpiloquio in più…

FM «Effettivamente il linguaggio degli italiani è diventato più… “turpiloquente”! Chiaramente, in altri sensi, molte cose sono cambiate in questi decenni, dal divorzio alle parolacce in tv. È un dato di fatto, noi cerchiamo semplicemente di raccontarlo in maniera divertente. Ruggero è come un cartone animato, può dire quello che vuole proprio perché è uno di trent’anni truccato da ultrasessantenne.»

Redazione

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