Roma, 19 mar – Il mezzogiorno italiano “é abbandonato a se stesso”, con i redditi scesi a livelli più bassi della Grecia e il Pil in forte recessione, con un decremento del 10% tra il 2007 e il 2012 a fronte della flessione del 5,7% registrata nel centro-nord.
E’ quanto emerge dal rapporto “La crisi sociale del Mezzogiorno”, realizzato dal Censis nell’ambito dell’iniziativa annuale “Un giorno per Martinoli. Guardando al futuro”.
La ricerca è stata presentata oggi a Roma da Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, presidente e direttore Generale del Censis, e discussa da Antonio Silvano Andriani, presidente del forum Ania-consumatori; Angelo Ferro, presidente della fondazione Oic onlus; Carlo Flamment, presidente del Formez Pa; Natale Forlani, direttore Generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e Cesare Vaciago, già direttore Generale del Comune di Torino.
Nei cinque anni della crisi, il Pil italiano ha perso 113 miliardi di euro, molto più dell’intero Pil dell’Ungheria, un paese di quasi 9 milioni di abitanti. Di questi, 72 miliardi di euro si sono persi al centro-nord e 41 miliardi (pari al 36%) al Sud, come attesta la ricerca.
Ma la recessione attuale – evidenzia il Censis – è solo l’ultimo tassello di una serie di criticità che si sono stratificate nel tempo: piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a spezzarlo.
Negli ultimi decenni, il Pil pro-capite meridionale è rimasto in modo stabile intorno al 57% di quello del Centro-Nord, testimoniando l’inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo messe in atto, che non hanno saputo garantire maggiore occupazione, nuova imprenditorialità, migliore coesione sociale, modernizzazione dell’offerta dei servizi pubblici.
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