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Caso Giuliano, “il bandito fu ucciso a Monreale da Nunzio Badalamenti”

di redazione

Salvatore Giuliano non sarebbe morto a Castelvetrano e non sarebbe stato ucciso dal cugino Gaspare Pisciotta. Sulla fine del bandito di Montelepre, emerge oggi l’ennesima versione dei fatti. A scriverla questa volta è il professore Michele Antonino Crociata di Castellammare del Golfo, nelle pagine dell’opera ‘Sicilia nella storia’ edita da Dario Flaccovio e finanziata dalla presidenza della Regione Siciliana. Cinquant’anni dopo l’uscita del film di Francesco Rosi, che racconta la versione ufficiale della vicenda, il professore Crociata racconta un’altra presunta verità, ovvero che Giuliano non morì a Castelvetrano ma a Monreale, nella casa colonica ‘Villa Carolina’, il 3 luglio 1950.
Scrive Crociata, che “mentre Turiddu consumava un pasto frugale in una stanza semibuia, Gaspare Pisciotta, coadiuvato nell’ombra da Nunzio Badalamenti, che i carabinieri stessi gli avevano dato come guardaspalle, riuscì a versare un forte sonnifero nel bicchiere di vino del capo, che inavvertitamente lo bevve. (…) Poi si mise a letto e dormì profondamente. Dopo circa mezz’ora, legati con ferro filato i polsi e le caviglie di Turiddu, immerso in un sonno profondo, Pisciotta, lasciato Nunzio Badalamenti a custodia del morituro, si allontanò per avvertire i capimafia Minasola e Miceli, interessati a loro volta di avvertire il colonnello Luca ed il capitano Perenze. Il Badalamenti, però, rimasto solo in quella casa, nella speranza di potere ricevere anch’egli almeno parte della taglia e, con essa, recuperare una più sicura libertà, senza averne ricevuto incarico e, quindi, di sua iniziativa, fece fuoco tre volte su Giuliano, che passò istantaneamente dal sonno alla morte”.
L’imprevisto gesto di Badalamenti (che risultava in carcere all’Ucciardone ma, come afferma Crociata, i servizi “l’avevano fatto segretamente evadere, incaricandolo del delitto per poi farlo tornare dietro le grate in attesa della gratitudine dello Stato”) provocò “un grande terrore” in Pisciotta, Miceli e Minasola, in quanto l’uccisione di Giuliano non rientrava negli accordi con il colonnello Luca.
Alle 7 del 4 luglio, scrive ancora Crociata, Luca e Perenze arrivarono a Monreale “e presero atto con sollievo della morte di Giuliano”. Dopodiché, afferma lo storico, “bisognava, però, necessariamente attribuire allo Stato, e non certamente alla mafia, la vittoria finale su Salvatore Giuliano […] Il cadavere, già rigido, fu rivestito alla meno peggio e trascinato su un autofurgone. Dopo aver preso le armi, gli oggetti, gli indumenti di Turiddu, ogni traccia di ciò che era accaduto in quella casa, venne cancellata con cura e il gruppo partì diretto a Castelvetrano” dove, nella notte fra il 4 e 5 luglio, si organizzò la farsa ormai nota a tutti ed immortalata nel film di Rosi.
Ma su quali elementi si fonda la versione del professor Crociata’ “Mi sono basato  –  dichiara lo storico  –  sulle testimonianze di persone ancora in vita. Compresa la sorella di Gaspare Pisciotta”.
Una versione quindi che esclude la sostituzione di cadavere, ipotizzato dalla Procura, che il 28 ottobre 2010 riesumò la salma per anni attribuita a Giuliano. Un’operazione dagli esiti incerti, che non ha portato, ad oggi, ad una conclusione delle vicenda.

Redazione

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