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Caso Gesap – Helg: i tanti nodi che la politica deve sciogliere

L’arresto del vice presidente della Gesap Roberto Helg, ha destato scalpore soprattutto per la tipologia del personaggio: un imprenditore “storico” (il suo marchio nel mercato dei casalinghi di qualità era presente dal 1954) che negli ultimi quindici anni si era dedicato più alla rappresentanza degli interessi della categoria, che alla sua attività.
La crisi economica, la concorrenza dei cinesi e degli ipermercati hanno messo in crisi le sue aziende portandolo al fallimento nel 2012.
Ma il suo declino da imprenditore non ha creato alcun problema alla sua carriera parallela: nonostante l’età avanzata e i problemi economici, si è installato al vertice della Confcommercio, al vertice della Camera di Commercio e, da ben quattordici anni nel consiglio di amministrazione della Gesap e nessuno l’ha mai smosso, nonostante le turbolente vicende politiche che hanno attraversato la Regione e il Comune di Palermo, dove si sono avvicendati schieramenti contrapposti.
La prima domanda che ci ponevamo ieri era come mai i commercianti palermitani si facessero ancora rappresentare da un imprenditore fallito alla soglia degli ottanta anni.
Ma le domande non si fermano qui: la denuncia del pasticcere Palazzolo e il conseguente clamoroso arresto, hanno messo alla luce un sistema di appalti alla Gesap, peraltro già oggetto di un’altra indagine non ancora conclusa, a dir poco discrezionale.
Dalla vicenda è venuto fuori che il titolare della storica pasticceria di Cinisi aveva un contratto settennale di concessione del locale all’aeroporto, dietro pagamento di un corrispettivo pari al 7% degli incassi registrati: il sistema delle royalties (cioè il pagamento di una percentuale sul giro d’affari, anziché una cifra fissa) in effetti viene usato in molti aeroporti.
Ciò che appare strana è la differenza fra la percentuale pagata da Palazzolo e quella a carico del gestore di gran parte degli altri spazi nell’aeroporto palermitano (Airest) che era quasi tripla (18%).
Quindi non si capisce qual è il criterio con cui vengono stabiliti i costi da addebitare e, anche in caso di assegnazione dopo gara, sarebbe normale stabilire una soglia minima di offerta, sotto alla quale la concessione non viene assegnata.
Gli altri dubbi riguardano le modalità con cui si è arrivati alla richiesta estorsiva di Helg: nel colloquio il vice presidente di Gesap parla di garanzie da fornire ad altri soggetti: è possibile che fosse solo un modo per giustificare la sua richiesta, ma questo lo accerteranno gli inquirenti.
Quello che appare anomalo è che alla scadenza di un contratto che poteva essere rinnovato per altri tre anni su richiesta del concessionario, sia partita una trattativa “sottotraccia” perché “c’erano malumori all’interno del cda”, come avrebbe detto il Direttore di Gesap, Carmelo Scelta a Palazzolo che chiedeva spiegazioni circa il ritardo dell’autorizzazione al rinnovo.
Se la royalty era ritenuta troppo bassa, la richiesta doveva essere respinta, avviando una nuova gara di concessione con un costo parametrato a quello degli altri.
Il chiarimento di questa vicenda non può essere affidato solo agli inquirenti cui spetta l’accertamento delle responsabilità penali.
La politica, che lamenta sempre l’ingerenza della magistratura quando scattano le inchieste, deve fare la sua parte prima.
Il cda della Gesap, nella migliore delle ipotesi, non ha vigilato a sufficienza e va rifondato nel rispetto di quei principi di legalità e trasparenza, spesso sbandierati ma poco applicati. Come il caso Helg, purtroppo, conferma.

Redazione

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