Carini, pizzo sui terreni del Poseidon, sei mafiosi rinviati a giudizio

Sei mafiosi sono stati rinviati a giudizio per la vicenda che riguarda il pagamento del pizzo, nei terreni dove oggi sorge il centro commerciale Poseidon di Carini. Il giudice ha negato il confronto tra l’imputato e la persona ‘offesa’. Due persone sono state rinviate col rito ordinario, Salvatore L…

Sei mafiosi sono stati rinviati a giudizio per la vicenda che riguarda il pagamento del pizzo, nei terreni dove oggi sorge il centro commerciale Poseidon di Carini. Il giudice ha negato il confronto tra l’imputato e la persona ‘offesa’. Due persone sono state rinviate col rito ordinario, Salvatore Lo Piccolo, boss di Tommaso Natale e Antonino Pipitone, nato nel 1969. Le altre con quello abbreviato. Secondo la ricostruzione, il barone Gianguido Celefati Canalotti, ammesso parte civile dal giudice, fu costretto a pagare un mega pizo da 130,000 euro sulla vendita del terreno da 35 ettari di contrada Ciachera. Morto il barone, i duri metodi per ottenere l’estorsione furono rivolti al figlio. La vicenda venne fuori grazie alla collaborazione di Gaspare Pulizzi, esponente del mandamento di Carini. Il processo è stato fissato davanti la terza sezione del Tribunale per il 5 marzo. Due giorni dopo lo stesso Gup Petruzzella, che ha accolto le richieste dei pm Marcello Viola, Gaetano Paci e Francesco Del Bene, giudicherà il pentito Pulizzi, Freddy Gallina, il fratello Giovanni e Vincenzo Pipitone del ’56. La parte civile è assistita dall’avvocato Valeria Minà. L’indagine, condotta dai carabinieri del Ros, aveva portato a 5 arresti nel mese di marzo. Antonino Pipitone, difeso dall’avvocato Gianfranco Viola è figlio di Antonino Angelo Pipitone; Vincenzo Pipitone è indicato come il reggente della cosca di Carini.
Giovanni Gallina, fratello di Freddy Gallina, avrebbe avuto un ruolo chiave nelle trattative. Il padre, era il pastore che un tempo portava gli animali al pascolo nel feudo Canalotti-Calefati. La tangente, dovuta quasi a titolo di diritto collegato a motivi ‘territoriali’, alla signoria dei boss di Carini, si sarebbe dovuta agganciare a una percentuale del prezzo di vendita. Il prezzo fu fissato in 250 milioni di lire, arrotondati a 130 mila euro. Proprio Giovanni Gallina sarebbe andato a incassare il pizzo, pagato con modalità particolari. Seguendo le istruzioni ricevute, Gianguido Calefati Canalotti andò di sera in una strada di campagna. Lì, come gli era stato preannunciato, trovò un auto col finestrino abbassato, in cui materialmente gettò, senza scendere dalla propria automobile, la borsa contente le banconote. Il pagamento avvenne dopo la cattura di Salvatore Lo Piccolo e dello stesso Pulizzi. Episodio che costrinse i mafiosi ad accontentarsi, si fa per dire, di soli 130 mila euro.
(Teleoccidente)