Categories: Cronaca

Carini. Margherita, la figlia del boss: “nessuna pietà per gli imprenditori”

Margherita Passalacqua Tra gli interessi della cosca mafiosa di Carini, ci sono anche gli appalti pubblici. Nell’operazione ‘Grande Padrino’ dei Carabinieri del comando provinciale e della compagnia di Carini guidata dal capitano Giovanni Ruggi, che ieri ha portato all’arresto di 21 persone, emerge uno spaccato inquietante di cosa nostra, che nel silenzio lavorava per garantire assunzioni nelle imprese, gestire il traffico di droga e imporre il pizzo. Due degli arrestati, Giuseppe Barone e Matteo Evola, rispettivamente perito forestale e guardia forestale, hanno falsificato un documento, ricevendo in cambio 1000 euro. Sono accusati di corruzione e falso, per aver favorito due ditte legate a Passalacqua, che si erano aggiudicate l’appalto per la realizzazione di viali tagliafuoco. I lavori non furono eseguiti, ma risultano certificati. E sull’Azienda Foreste si continua ad indagare in relazione al metodo di assegnazione dei lavori. Secondo l’accusa, la famiglia per anni si sarebbe imposta con vari metodi per svolgere i lavori nelle montagne di competenza della forestale. E l’influenza dei gregari avrebbe raggiunto anche le stanze del comune. Un dipendente infatti avrebbe informato uno degli indagati sugli accertamenti effettuati dai carabinieri in ufficio.
Nell’inchiesta emerge anche il ruolo determinante di Margherita Passalaqua, 38 anni, figlia del padrino. Una donna che ha rotto i classici schemi maschilisti di cosa nostra. Non avrebbe infatti solamente eseguito gli ordini del padre, scrivendo alcuni pizzini, seguendo alcuni lavori al demanio forestale, mettendo in guardia dalla microspie. Ma andava perfino a bussare alle porte degli imprenditori a chiedere il pizzo. ‘Non dobbiamo avere nessuna pietà’ diceva al padre.
Il traffico di droga invece era gestito dal pescivendolo del bivio foresta, Vito Caruso, che attraverso la sua attività commerciale gestiva lo spaccio di cocaina tra Isola delle Femmine e Castellammare del Golfo. Lo confermano anche i collaboratori di giustizia Francesco Balistreri e Gaspare Pulizzi.
Tra le vicende più inquietanti che emergono, quella dello scampato caso di lupara bianca. Il titolare di un bar del centro di Carini, per denunciare il furto di alcune bibite, si sarebbe infatti rivolto ai boss e non alle forze dell’ordine. Il colpevole, un suo dipendente era stato così condannato a morte dai gregari che lo avevano costretto scavarsi la fosse. Ma poi è stato perdonato dallo stesso titolare del bar.
E’ una mafia potente e crudele, quella che descrivono gli investigatori, capace di controllare le attività commerciali dell’area industriale, guidata dal vecchio boss Calogero Passalacqua, ufficialmente ai domiciliari per motivi di salute, ma secondo gli inquirenti, in piena attività. Lo testimoniano le immagini registrate dai carabinieri che registrano i movimento sospetti intorno alla sua abitazione. Una sorta di ‘grande fratello della mafia’ che controllava tutti gli incontri del boss.
(Teleoccidente)

Redazione

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