Carceri in allarme, in sette evadono a Milano: emergenza anche in Sicilia

Clamorosa evasione di sette detenuti dal carcere minorile Beccaria di Milano. Ed è dura la protesta del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, che parla di “evasione annunciata”.

“Adesso è prioritario catturare gli evasi”, denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “ma la grave vicenda porta alla luce le priorità della sicurezza (spesso trascurate) con cui quotidianamente hanno a che fare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria del Beccaria”. 

Emergenza anche in Sicilia

In Sicilia sono presenti 23 strutture penitenziarie, ma molte ospitano un numero di reclusi superiore alla capienza regolare: secondo gli ultimi dati, nelle carceri siciliane, alla data del 30 settembre erano presenti 6.018 reclusi a fronte di una capienza di 6.454. Un esempio su tutti, venuto alle cronache: nella struttura di Piazza Lanza, a Catania, alcuni anni fa, in una cella di circa 20 metri quadrati c’erano dalle otto alle dieci persone. Sul sovraffollamento, però, c’è una discussione aperta perchè secondo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sono regolari tre metri quadrati per ciascun detenuto, mentre la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo emessa contro l’Italia nel 2009, parla di sette metri quadrati. Altro problema che viene lamentato è la qualità del trattamento risocializzante con la carenza di educatori e di psicologi.

All’inizio di dicembre, era stato lanciato un appello dal carcere Pagliarelli di Palermo dai detenuti che lamentano di vivere in condizioni di estrema difficoltà relativa alle pessime condizioni igienico-sanitarie in cui versa la casa circondariale. I detenuti chiedevano anche l’istituzione del garante dei detenuti a Palermo. Attualmente in Sicilia esiste soltanto un garante regionale dei diritti dei detenuti, che non può garantire ispezioni costanti in tutto il territorio.

I sindacati chiedono la revisione della legge e misure urgenti

“Da molto, troppo tempo arrivano segnali preoccupanti dall’universo penitenziario minorile”, denuncia. “Beccaria, Casal del Marmo a Roma, Nisida, Bologna, Airola… abbiamo registrato e registriamo, infatti, con preoccupante frequenza e cadenza, il ripetersi di gravi eventi critici negli istituti penitenziari per minori d’Italia. È da sottolineare, infatti, che nell’ultimo periodo diversi detenuti delle carceri minorili provocano con strafottenza modi inurbani e arroganza i poliziotti penitenziari, creando sempre situazioni di grande tensione. Ma nessun provvedimento è stato assunto, nonostante le reiterate sollecitazione del SAPPE. Ed è per questo che ci stupiamo di chi “si meraviglia” se chiediamo una revisione della legge che consente la detenzione di ristretti adulti fino ai 25 anni di età nelle strutture per minori”.

“I vari Governi che si sono alternati negli anni”, denuncia il leader nazionale del SAPPE, “anziché adottare provvedimenti che garantiscono ordine e sicurezza nelle carceri hanno dato corso ad una riforma penitenziaria che ha minato proprio la natura stessa di pena e carcere, affidando il carcere ai detenuti e depotenziando anche il ruolo della Polizia Penitenziaria. E questo è grave e inaccettabile”. Capece ricorda che “come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria abbiamo in più occasioni chiesto ai vertici del Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità che le politiche di gestione e di trattamento siano adeguate al cambiamento della popolazione detenuta minorile, che è sempre maggiormente caratterizzata da profili criminali di rilievo già dai 15/16 anni di età e contestualmente da adulti fino a 25 anni che continuano ad essere ristretti. La realtà detentiva minorile italiana, come denuncia sistematicamente il SAPPE, è più complessa e problematica di quello che si immagina: per questo si dovrebbe ricondurre la Giustizia minorile e di Comunità nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria piuttosto che mantenerla come Dipartimento a sé. Questa clamorosa evasione conferma, purtroppo, che avevamo ed abbiamo ragione”.