Cronaca

Carcere Ucciardone intitolato a Calogero Di Bona, ucciso dalla mafia

Carcere Ucciardone. E’ stata scoperta la targa che intitola il carcere palermitano Ucciardone al maresciallo degli agenti di custodia Calogero Di Bona, ucciso dalla mafia il 28 agosto 1979. La cerimonia è avvenuta ieri alla presenza della moglie Rosa Cracchiolo e dei figli Giuseppe, Alessandro e Ivan.

Il capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, ha deposto una corona di alloro dinanzi la targa posta sulla facciata dell’ingresso dell’edificio. “L’intitolazione è un’affermazione di verità e giustizia – ha detto Consolo – Va ricordato che magistrati valorosi come Rocco Chinnici da subito capirono la valenza aggressiva di quell’omicidio e indagarono e poi, grazie alle acquisizioni successive, si è arrivati a una verità storica che è stata consacrata anche con riconoscimenti al merito quale la medaglia d’oro consegnata dal presidente della Repubblica”.

Carcere Ucciardone: chi era Calogero Di Bona

Calogero Di Bona venne attirato in un tranello il 28 agosto del 1979 mentre era a passeggio per le strade del suo quartiere, Sferracavallo. Poi fu strangolato e il suo corpo venne bruciato nel forno della morte.

Si parlò subito di lupara bianca. La moglie del maresciallo Di Bona disse che il marito quel giorno uscì per andare a prendere un caffè, dicendo che sarebbe tornato presto: dal quel momento non lo vide più.

A distanza di quasi 40 anni Calogero Di Bona, maresciallo degli agenti di custodia, il più integerrimo tra gli agenti della polizia penitenziaria in servizio all’Ucciardone,  “trova” il riconoscimento dovuto.

Fu chiamato il maresciallo eroe che si oppose al Grand Hotel Ucciardone. Perché ribaltò quell’usanza consolidata, che vedeva i boss comandare nelle celle penitenziarie, abituati com’erano a fare arrivare nelle loro “stanze” champagne e formaggi francesi, tra lusso e favori.

Il maresciallo era stato preso di mira dai boss, ai quali non piacque la lettera di denuncia seguita al caso Micalizzi, scritta da anonimi agenti carcerari e inviata alla procura, al ministero di Grazie a giustizia e a due quotidiani palermitani, che però la pubblicarono soltanto dopo la scomparsa del maresciallo. Dall’episodio della missiva – da cui non scaturirono indagini, come sarebbe stato ovvio – partirono una serie di atti intimidatori, culminati nell’omicidio di Di Bona.

Grazie alla tenacia dei figli, il caso della sua scomparsa venne riaperto. E scattarono due condanne all’ergastolo per i boss Salvatore Lo Piccolo e Salvatore Liga. Di Bona finì su un forno per il pane, che la mafia usava anche per incenerire le vittime dei suoi omicidi.

 

 

Redazione

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