Si fa presto a dire burocrazia, ma l’opinione pubblica siciliana non ha la più pallida idea di quali “mostruosità” si annidino tra le pieghe di leggi, regolamenti, circolari e procedure. Ed allora cominciamo da oggi una specie di viaggio nelle viscere di quel mostro che è la burocrazia siciliana.
L’occasione ci viene dalla direttiva assessoriale per dare un po’ di soldi, alle fasce più disagiate della popolazione siciliana, attraverso i famigerati “cantieri di lavoro”. Cominciamo con il dire che neanche i sindacati, da sempre affezionati all’idea che mamma regione apra i cordoni della spesa improduttiva, hanno apprezzato l’ennesima infornata di cantieri di lavoro, considerandoli un meccanismo farraginoso e poco utile ad aiutare realmente i più bisognosi.
Vediamo come dovrebbe funzionare. Il governo regionale ha stanziato 50 milioni di euro per consentire ai comuni di aprire qualche migliaio di cantieri di lavoro; per dare subito prova di efficienza, la direttiva dell’assessore Bonafede comincia con il definirli “cantieri di servizio” ma avendo cura di precisare che le istanze devono essere indirizzate all’ufficio “cantieri di lavoro”!
Superata questa piccola incongruenza andiamo a vedere a che cosa servono questi cantieri. Intanto la prima sorpresa è la comparsa di una nuova definizione, DOPO I CANTIERI DI SERVIZIO ED I CANTIERI DI LAVORO, i comuni dovranno presentare entro 30 giorni una istanza che però dovrà contenere la descrizione dei “PROGRAMMI DI LAVORO” da realizzare i quali “devono prevedere, nel dettaglio, la tipologia delle attività da svolgere, le modalità di svolgimento, l’ubicazione, il numero dei soggetti da impegnare e gli strumenti che l’ente medesimo metterà a disposizione per la realizzazione dei programmi stessi”. Ogni programma di lavoro “deve prevedere l’impegno di almeno 10 unità fino ad un massimo di n. 20 unità”.
Ma così sarebbe troppo semplice. Ed ecco allora la consueta manina burocratica a specificare che le unità da impiegare non devono essere unità qualsiasi, non basta cioè che siano ai limiti della sussistenza, ma devono rispondere ai seguenti requisiti: il 50% deve avere un’età compresa tra i 18 ed i 36 anni, il 20% fra 37 e 50 anni, il 20% è riservato a soggetti ultracinquantenni, mentre il 5% è a favore di soggetti immigrati in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro o per ricongiunzione familiare ed il restante 5% a favore di portatori di handicap.
Ed andiamo al requisito della povertà; gli aspiranti a partecipare ai cantieri non devono avere un reddito superiore ai 442 euro. Ma non basta; i comuni dovranno verificare questo requisito avendo cura di inserire nel computo tutti i componenti il nucleo familiare compresi nonni, generi, suoceri e nuore.
A scanso di equivoci però servirà che gli indigenti in lizza si prendano al responsabilità di attestare di non possedere …… titoli di Stato, azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni di investimento e depositi bancari, e di non essere proprietari di immobili tranne quello di abitazione e purché il valore non superi una certa soglia indicata dal comune (ma con quale criterio?).
Intanto comincia a farsi strada in chi legge la direttiva dell’assessore Bonafede il tarlo del dubbio: ma può darsi che servano più impiegati comunali e regionali per gestire questo infernale meccanismo che non poveri operai senza l’ombra di un quattrino?
Andiamo avanti fiduciosi. I soggetti disagiati che saranno coinvolti nei “cantieri di lavoro”, o magari nei “cantieri di servizio” o anche nei “programmi di lavoro” potranno lavorare soltanto tre mesi, ma dovranno comunque comunicare qualunque variazione nel frattempo intervenuta per ciascuno dei mille requisiti richiesti. Ma la mano pubblica è magnanime e così prevede un impegno massimo di 80 ore mensili con la “generosa” possibilità che in caso di arresto o di decesso l’operaio possa essere sostituito da un altro componente familiare (sic!).
Ci avviciniamo sempre più alla farsa. I “poveri” burocrati comunali chiamati ad una montagna di verifiche e di controlli non saranno soli; potranno infatti chiamare in aiuto l’Inps ed il Ministero delle Finanze, come si suole dire per “gli ulteriori accertamenti”! I comuni dovranno quindi comunicare il giorno di avvio dei lavori per consentire alla regione di procedere all’emissione di un primo mandato, direte voi. Niente affatto; serve un O.A. un ordinativo di accreditamento; fatti i pagamenti serve però ricordarsi di chiedere alla banca la “chiusura dell’ordinativo di accreditamento” non sia mai che qualcuno diventi, vita natural durante, un Di.C.L.O.A. dipendente di cantiere di lavoro con ordinativo di accreditamento aperto!
Ai comuni infine resta il gravoso incarico di procedere alla rendicontazione completa di tutte le operazione effettuate, avendo cura di presentare ricevuta per <ciascun> pagamento debitamente quietanzata da <ciascuno> degli operai impiegati nei cantieri (forse venti mila).
Una chicca infine; se qualcuno pensa che questa pazzesca procedura possa avere qualche falla, ecco pronto il rimedio: “tutto quanto non espressamente previsto nella presente direttiva formerà oggetto di successive note a chiarimento a cura del servizio I del dipartimento regionale del lavoro, dell’impiego, dell’orientamento, dei servizi e delle attività formative”. Ormai definitivamente convinti che il lavoro richiesto alle strutture comunali e regionali vada ben al di là di quello richiesto agli operai utilizzati, proviamo infine a chiederci che cosa faranno questi cantieri. Ebbene si scopre così che il “programma di lavoro” può riguardare qualunque tipologia di interventi, purché si tratti di interventi riconducibili a compiti istituzionali dell’ente locale.
Per non lasciare i comuni nel dubbio, ecco la precisazione della regione: “soltanto a titolo esemplificativo, si precisa che i programmi di lavoro possono avere ad oggetto attività di custodia e pulizia dei parchi, servizi e giardini, attività di manutenzione stradale e decoro urbano, attività di <accudimento> alle persone anziane e ai diversamente abili, attività di raccolta rifiuti solidi urbani e raccolta differenziata”.
Ora, a parte il fatto che il termine accudimento è del tutto sconosciuto al vocabolario Treccani, affiora l’ennesimo dubbio: considerato che in Sicilia sono impiegate circa dodici mila unità nella raccolta rifiuti – invero con scarsi successi – a che cosa servono altre migliaia di spazzini e soltanto per tre mesi? E quando chiuderemo i cantieri, li inseriremo nell’elenco chilometrico dei precari?
Una amara riflessione finale: i comuni dispongono per legge degli elenchi dei meno abbienti; ma non sarebbe stato di gran lunga meno complesso, meno costoso e sicuramente più veloce dare ad ogni famiglia disagiata un blocchetto di buoni spesa? Come ha detto una volta un famoso leader europeo, “noi politici sappiamo bene quello che serve al nostro Paese, il problema è che poi non sappiamo come vincere le elezioni”! Voi non ci credereste, non è siciliano, è lussemburghese.
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