Risponde del reato di cui all’art. 727 del codice penale chi abbandoni gli stessi in auto. Nel caso di specie, è stata riscontrata la permanenza di due cani di grossa taglia in un’autovettura di esigue dimensioni per oltre tre ore in una notte invernale, senza ciotole per l’acqua ed in assenza di adeguata protezione dalle intemperie. Tale situazione rendeva impossibile agli animali sia il movimento che il soddisfacimento delle più elementari necessità fisiologiche: pertanto, la detenzione è stata considerata incompatibile con la natura degli stessi quadrupedi e tale da produrre loro gravi sofferenze.
Anche a voler ritenere che l’abitacolo di un’auto non sia di per sé un ambiente insalubre ed incompatibile con la natura degli animali domestici, risultano elementi dirimenti al fine di ritenere sussistente il reato di cui all’art. 727 del codice penale il contesto e la durata dello stazionamento degli animali al suo interno: “è invero dalle condizioni complessive che caratterizzano la detenzione in sé considerata che possono derivare le gravi sofferenze configuranti l’elemento costitutivo della contravvenzione in esame, le quali, rescindendo da lesioni dell’integrità fisica dell’animale, devono ciò nondimeno incidere sulla sua sensibilità come essere vivente, intendendo la norma preservarlo da condizioni di detenzione o custodia per lo stesso foriere di patimenti, ovverosia tali da infliggergli un dolore che ecceda, rispetto alla finalità perseguita dall’agente, la soglia di tollerabilità. E poiché, come si desume dalla natura contravvenzionale della fattispecie criminosa in contestazione, non occorre che la condotta posta in essere dall’uomo si accompagni alla specifica volontà di infierire sugli animali, essendo sufficiente che sia determinata da condizioni oggettive di incuria o di negligenza, e dunque occasionate da mera colpa”.
Secondo la Corte di Cassazione, “la chiara scelta legislativa di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non più indiretta sol perché oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro, ed al contempo assolvendo l’attributo della “gravità” alla funzione di rendere oggettiva la sofferenza percepita dall’animale a causa delle condizioni in cui viene detenuto, non vi è dubbio, tuttavia, che pretendendo la norma una corrispondenza biunivoca tra la sofferenza dell’animale e le modalità della sua detenzione, è dall’analisi di queste ultime e dal grado di incompatibilità con la natura dell’animale stesso che deve essere desunta la gravità del patimento inflittogli. E poiché il concetto in esame ben può essere desunto facendo riferimento, secondo l’univoca decodificazione giurisprudenziale, a quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore, avuto riguardo, per le specie più note, come per l’appunto per gli animali domestici, al patrimonio di comune esperienza e conoscenza” (sentenza n. 36713 dell’8.10.2021 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione).
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