ROMA (ITALPRESS) – “La questione dei buoni pasto è da anni al centro dell’attenzione, suscitando l’insoddisfazione dei lavoratori che vedono il loro diritto contrattuale compresso, ritardato o addirittura negato”. Lo afferma Claudia Ratti, segretario generale di Confintesa FP. “Le richieste superano i quantitativi acquistati, le amministrazioni sospendono la somministrazione, e i lavoratori rimangono in attesa – aggiunge -. Per alcuni, i buoni pasto rappresentano un guadagno, ma per altri sono sinonimo di una forte perdita. I datori di lavoro acquistano buoni pasto dal valore nominale di 7 euro a un costo inferiore, a volte addirittura del 20%. La domanda sorge spontanea: a chi va la differenza?”.Secondo Ratti “è fondamentale sottolineare che le convenzioni realizzate con gare al massimo ribasso comportano provvigioni sempre più onerose per gli esercenti, che, per accettare i buoni pasto, si vedono costretti a ricaricare il maggior onere sui prezzi. Il risultato è che il valore del buono pasto non garantisce neanche un pasto frugale”.“La proposta di Confintesa – conclude Ratti – avanzata da anni, sembra essere una soluzione ragionevole: corrispondere direttamente in busta paga gli importi dei buoni pasto, mantenendo l’esenzione dall’IRPEF e adeguando l’importo al costo della vita. Un approccio che potrebbe portare benefici sia ai lavoratori che alle amministrazioni, garantendo trasparenza e equità in un settore che richiede urgenti interventi”.
– foto ufficio stampa Confintesa FP –
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