Borsellino quater: silenzio in ricordo di Agnese. Poi il processo continua

Osservato un minuto di silenzio nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta, dove e’ in corso il processo “Borsellino Quater”, in ricordo di Agnese Piraino Leto, vedova del giudice. Agnese Borsellino avrebbe dovuto testimoniare…

di redazione

Caltanissetta, 6 Mag. – Osservato un minuto di silenzio nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta, dove è in corso il processo “Borsellino Quater”, in ricordo di Agnese Piraino Leto, vedova del giudice. Agnese Borsellino avrebbe dovuto testimoniare nell’ambito del nuovo filone d’indagine per far luce sulla strage di via d’Amelio.

Erano pessimi i rapporti fra l’ex procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco e il giudice Paolo Borsellino.
A sostenerlo è stato l’ufficiale dei carabinieri, Carmelo Canale, strettissimo collaboratore di Borsellino, che ha deposto oggi in Corte d’Assise a Caltanissetta nel processo “Borsellino quater”.

Secondo il teste, Giammanco aveva isolato Borsellino, delegandogli il territorio di Agrigento. “Nel ’92 in Procura si respirava un clima di tensione. Era la stagione degli esposti anonimi”, ha ricordato Canale, che ha proseguito: “Quando a Palermo venne ucciso l’onorevole Lima, per Giammanco era una cosa di poca importanza. Addirittura voleva andare al suo funerale ma poi lo convinsero che non era il caso. Quell’omicidio per lui corrispondeva all’uccisione di un fruttivendolo. Falcone invece comprese sin da subito la portata di quell’omicidio”.

“Dopo la strage di Capaci, Borsellino era convinto che poi sarebbe toccato a lui”, ha proseguito il militare. Secondo Canale, “Borsellino riteneva che il movente di quella strage era da ricercare su alcune inchieste sulle quali stava lavorando Falcone. Mi chiese – ha ricordato – di cercare il rapporto dei Ros ‘Mafia-Appalti’, il rapporto su ‘Pizza Connection’ un altro rapporto sul quale stava lavorando la Guardia di Finanza, ma non so se fu trovato”.

Il testimone ha sottolineato che “Borsellino voleva continuare a lavorare su quel rapporto. Il giudice – ha riferito ancora Canale – volle incontrare personalmente il capitano De Donno. Riteneva che quel rapporto fosse interessantissimo, rappresentava una delle piste investigative da seguire per la morte di Falcone. Quell’indagine aveva sconquassato mezzo mondo politico e imprenditoriale. Questo rapporto credo che colpisse politici a livello nazionale. Borsellino riteneva anche che una delle cause della morte di Falcone potesse essere stato anche l’esito del maxi-processo”.

“Borsellino e Falcone erano come fratelli. Borsellino riteneva che Falcone fosse il numero uno. Lo scambio di telefonate fra i due era continuo. Falcone confidò a Borsellino di essere convinto che nel fallito attentato dell’Addaura fosse coinvolto anche Bruno Contrada” ha rivelato il maggiore dei carabinieri.

Secondo il teste, “Borsellino e Falcone, nella Procura palermitana non erano ben visti dai colleghi anziani perché si temeva l’innovazione che avrebbero potuto portare sul profilo investigativo”.

E ancora: “Il giudice Paolo Borsellino teneva con sé sempre tre agende: una rossa, una dell’Arma dei carabinieri e una marrone. Sull’agenda rossa annotava tutti suoi pensieri. L’agenda rossa, soprattutto dopo la morte di Falcone, camminava sempre con lui. Il contenuto di quell’agenda io non lo conosco. Non l’ho mai aperta per il rispetto che avevo noi confronti del magistrato”.

Canale, una settimana prima della strage di via d’Amelio, era a Salerno proprio con Borsellino. Ha raccontato che il giudice, intorno alle sei del mattino, lo invitò a prendere un caffé e quando lui entrò nella stanza del magistrato, lo trovò disteso sul letto mentre scriveva qualcosa sull’agenda rossa. Poco dopo Borsellino disse a Canale: “Sarei ipocrita a dirle che il dolore che lei prova per la morte di sua figlia è uguale a quella che io provo per Giovanni Falcone?”.

“Un pensiero – ha riferito il teste – annotato in quell’agenda che per lui era sacra. Proprio quella mattina – ha raccontato Canale – il giudice dimenticò l’agenda in quell’albergo. Era agitatissimo. Quando la trovò, si tranquillizzò. La domenica mattina, il giorno della strage, Borsellino annotò sull’agenda un numero di telefono molto lungo. Credo – ha specificato Canale – che fosse un numero telefonico tedesco, visto che eravamo in procinto di partire per la Germania. All’indomani della strage mi recai a casa della famiglia Borsellino. Chiesi ad Agnese che fine avesse fatto l’agenda e Agnese mi disse di aver saputo credo da Arnaldo La Barbera che la borsa del giudice era andata in fumo. La borsa poi venne consegnata alla famiglia Borsellino. All’interno c’era solo il carica batterie del cellulare del magistrato”.

Canale ha anche aggiunto che la cartella del giudice Borsellino, attualmente la custodisce lui.