Internazionalizzazione, ricerca, alternanza Università-lavoro: sono alcuni punti del programma di Francesco Basile, rettore dell’Università di Catania per il sessennio 2017-2023. Gli abbiamo chiesto quali saranno i primi step per realizzarli tutti.
Prime due settimane da Rettore. Il programma è molto vasto, quali sono i primi punti in agenda?
«Prima di tutto la riorganizzazione amministrativa dell’Università, perché bisogna creare un migliore percorso interno per poter essere certi che la macchina amministrativa funzioni bene e poter quindi lavorare all’esterno dell’Università. Mi sono concentrato sui meccanismi interni di lavoro, coadiuvato in questo dalla direzione generale, dai dirigenti di area, che ho avuto occasione di riunire per programmare il metodo di lavoro interno. Ieri abbiamo avuto la prima riunione del Senato Accademico per far partire la selezione dei candidati per il Consiglio d’amministrazione, perché manchiamo in atto di Consiglio d’amministrazione e manchiamo di Presidenza del Collegio dei revisori dei conti: sono due atti che dobbiamo fare rapidamente. Il Presidente del Collegio dei revisori è necessario perché dobbiamo anche chiudere il bilancio dell’anno precedente. Siamo in bilancio provvisorio e questo non possiamo permettercelo, ovviamente, oltre il 30 marzo. Ho cominciato, poi, a formare la squadra di delegati. Ho riconfermato alla presidenza della Scuola Superiore il professore Francesco Priolo, che tanto bene ha svolto la propria opera; ho nominato il delegato alla ricerca, che sarà la professoressa Alessandra Gentile, che con grande spirito istituzionale ha accettato l’incarico: la ricerca per noi è un punto fondamentale. Adesso provvederò alle altre deleghe. E’ necessaria capacità, professionalità e competenza, ma anche molto tempo da dedicare all’istituzione. Ho iniziato, poi, a lavorare su uno dei punti più importanti del programma: l’apertura all’Europa. Avrò un incontro con il presidente della Regione a breve, perché voglio chiedere ospitalità per l’Università di Catania presso la sede della regione a Bruxelles, in maniera da avere un ufficio della nostra Università nella sede della Comunità Europea e poter da lì creare un centro di riferimento per i nostri studenti, docenti e per chi vuole presentare progetti di ricerca. Credo che sia importante».
A proposito di Europa, lei ha fatto presente, in più di un intervento, che l’Ateneo di Catania si trova in una posizione geografica strategica, perché al centro del Mediterraneo, regione pur molto complicata. E’ anche vero, però, che rispetto all’Europa occupiamo una posizione marginale. Gli accordi Erasmus accorciano le distanze, ma quanto è stato attrattivo fino ad ora l’Ateneo di Catania per l’Europa e quanto può diventarlo?
«E’ vero: noi siamo al centro del Mediterraneo e quindi dovremmo esserne il centro di riferimento culturale, cosa un po’ difficile perché i Paesi che ci circondano non hanno quasi mai governi stabili, e, di conseguenza, i rapporti con le Università sono certo molto difficili; dall’altro lato, siamo distanti dall’Europa. Si verificherà una inversione di tendenza quando, non solo i nostri studenti e i nostri ricercatori vorranno migrare per proseguire i propri studi, ma anche gli studenti europei verranno da noi per qualcosa che offriamo. Ad esempio lo studio dei beni archeologi lo possiamo offrire noi, anche per le materie che riguardano il turismo siamo molto ferrati come Università, ma fino ad ora non abbiamo avuto la capacità di esportare le nostre conoscenze. Quando saremo capaci di farlo verranno a Catania molti studenti del Nord Europa. Intanto, è vero, lo vediamo con gli scambi Erasmus: molti ragazzi vanno fuori, pochi vengono da noi, anche perché non offriamo molti corsi in lingua inglese, e questa è un po’ una penalizzazione, ma è un cane che si morde la coda. Dobbiamo prima aumentare l’entrata degli studenti, altrimenti sarà difficile creare corsi in lingua inglese, ma se non li creiamo sarà difficile che gli studenti stranieri vengano a Catania. Io vorrei procedere gradualmente: quando sul sito dell’Università compariranno dei corsi in lingua inglese in alcuni settori, cominceremo da uno- vedremo quale sarà il più richiesto- allora aumenteranno le entrate degli studenti stranieri».
Il nostro Ateneo, fino ad oggi, è stato vittima di una retorica del disfattismo: molti studenti preferiscono altri Atenei, specialmente del Nord, al nostro. Su cosa si può lavorare per trattenerli?
«Il problema è che i nostri ragazzi vedono più sbocchi occupazionali se si laureano nelle Università del Nord piuttosto che da noi, per questo bisogna incrementare il rapporto tra Università e mondo occupazionale. Questo in alcuni settori risulta più facile. E’ stato già fatto, ad esempio, per i settori medici. In altri settori, come ad esempio quello di economia aziendale, i rapporti con le aziende sono spesso saltuari e non ci sono collegamenti diretti con esse. Bisogna cercare di coinvolgere le imprese del nostro territorio nel post-formazione. Questo si può fare con formazione di secondo livello, quindi con master di tipologie interessanti per le aziende, oppure stringendo accordi in convenzione con le imprese per poter inviare i nostri studenti degli ultimi anni a effettuare degli stage. A Catania abbiamo ben 80.000 imprese che fanno parte della Camera di Commercio e di Confindustria. Le imprese ci sono, dobbiamo rendere, però, attrattiva la collaborazione con le istituzioni formative e su questo punto dobbiamo certamente lavorare».
Nel suo programma ha definito la Scuola Superiore di Catania come la struttura di punta della nostra Università e ha parlato di politiche in grado di favorirne la massima autonomia. Come ha intenzione di realizzare questo punto?
«E’ vero, la Scuola Superiore di Catania ha un ruolo strategico per le politiche didattiche, culturali e di ricerca dell’Ateneo. Continuerà ad essere, più di quanto sia stata fino ad ora, un centro di attrazione per studenti e docenti al livello nazionale e internazionale. La Scuola per Statuto è incardinata all’interno dell’Università. Stiamo verificando la possibilità di cambiare lo statuto vigente per garantirne, appunto, l’autonomia e per garantirle, inoltre, un budget proprio. E’ un percorso da avviare, la realizzazione delle modifiche staturarie richiederà tempo, ma se riusciremo a rendere la Scuola autonoma, ne guadagnerà certamente anche l’Ateneo, con cui comunque la SSC continuerà ad avere un rapporto».
Nel suo programma faceva riferimento all’inserimento di nuovi laboratori presso le strutture di San Nullo. Pensa che la Scuola possa diventare un centro di ricerca internazionale?
«L’Università di Catania ha una serie di entità di recente formazione, ad esempio il Brit che è una realtà di laboratori scientifici che coprono fisica, chimica, biologia, recentemente creato alla Torre Biologica. Il Brit è un po’ quello che riassume questo concetto: avere la possibilità di impiego nel mondo della ricerca e un sito dove poter occupare i ragazzi migliori. Fino ad ora, però, non abbiamo avuto la possibilità di assumere giovani ricercatori; ci scontriamo con il problema dei finanziamenti alle Università, ovviamente. Faremo partire, con la nuova programmazione, cento posti di ricercatore a tempo determinato di tre anni. Compito del Rettore sarà quello di lavorare presso le istituzioni per ottenere maggiori finanziamenti. Non è una cosa semplice, perché tutte le Università italiane lottano per questo, ma è una battaglia che ci dobbiamo intestare. La mobilità dev’essere una volontà, non una necessità. Per quanto riguarda San Nullo sto proprio verificando la possibilità di inserimento dei laboratori. Dovremo sicuramente inserire anche degli uffici della didattica perché la nostra didattica attualmente è in un edificio di Piazza Bellini, in cui siamo in affitto; è sicuramente un costo che dovremmo risparmiare. Una quota di laboratori dovrebbe andare a San Nullo, ma c’è anche il Polo tecnologico d’Ateneo che cercheremo di implementare».
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