Barreto, Iachini e “l’ipnosi collettiva” che illude i tifosi di tutto il mondo

Da quando è stato reso noto l’accordo ufficioso che Edgar Barreto, centrocampista paraguaiano del Palermo, ha firmato con la Sampdoria del mitico Ferrero – Crozza, i tifosi rosanero hanno “condannato” il capitan all’esilio con l’infamante accusa di alto tradimento.
E meno male che, per proseguire con la metafora militare, non siamo in stato di guerra, il Palermo va a gonfie vele, al di là di ogni aspettativa precampionato e dunque gli umori della piazza sono distesi.
Eppure il buon Iachini, che non rinuncerebbe mai al capitano, deve fare i conti con la “fatwa” per decidere se fare di testa sua o eseguire la condanna.
Strano personaggio il tifoso: mentre il resto del mondo è stato trasportato nel millennio della globalizzazione, dell’informazione in tempo reale, della caduta di ideali e ideologie, lui resta abbarbicato ad una immagine sbiadita, come le figurine Panini degli anni Sessanta.
Ai tempi in cui quando vedevi Ghito Vernazza fare il “numero della foca” sulla linea laterale o Tonino De Bellis, che inseguiva un malcapitato attaccante avversario per “falciarlo” prima che si avvicinasse troppo alla porta, sentivi un fremito di orgoglio che vibrava dalla Stazione alla Statua (allora la città era più ristretta).
I presidenti erano nobili (Lanza) o meno nobili (Vilardo) ma palermitani purosangue, i giocatori spesso venivano da fuori ma erano “adottati” e nell’immaginario collettivo diventavano fratelli di latte: per vederli, o li incontravi per strada al mercato o dovevi andare alla Favorita la domenica (e solo la domenica).
Poi venne la Tv, i soldi pesanti,i loschi figuri che si aggiravano alla vigilia delle partite negli alberghi dei ritiri con mazzi di banconote, il primo scandalo, il secondo scandalo, la radiazione: eppure il tifoso è sempre là, sugli spalti con la sua incrollabile fede e il mito della maglia che non di deve tradire.
C’è una paradossale contraddizione nel calcio, fra il tifoso che vede ancora una simbiosi fra la squadra di calcio e la città di cui porta i colori e i gestori del business, che invece lo vogliono trasformare in uno spettacolo qualunque, con attori pagati per fare la loro parte, che a ottobre giocano con te e a febbraio ti fanno gol contro, secondo una logica che va contro l’essenza stessa dello sport agonistico: che regolarità può avere un campionato dove lo stesso giocatore una volta è a favore e un’altra gioca contro?
Eppure, come plagiati da una sorta di magia nera, riusciamo a pensare che una squadra gestita da un vulcanico friulano e composta da mercenari provenienti da ogni parte del mondo rappresenti l’anima di una città. E il miracolo inspiegabile è che non lo pensiamo solo noi palermitani derelitti e illusi, ma anche i romani (che almeno hanno Totti) o i torinesi o persino i londinesi.
E allora diamo pure addosso a Barreto, generoso professionista che ha sempre dato il c… (per usare le parole della sua gentile consorte): andremo contro la logica e il buon senso, ma contribuiremo a mantenere quell’ipnosi globale che rende il calcio “il gioco più bello del mondo” pur senza esserlo.