Baby gang Marsala: la dinamica è quasi la stessa, i protagonisti sempre minori e si muovono sempre in gruppo, spietati contro la vittima prescelta.
Sul web, da qualche giorno, gira un video che ritrare dei ragazzini, tutti sui quattordici anni, assistere a quello che, a quanto pare, per loro, è uno spettacolo: protagonista è tale Ciccio, che aggredisce per ignoti motivi un suo coetaneo, riempendolo di botte. I ragazzi lo incitano, mentre le ragazze ridono dello spettacolo che qualcuno sta riprendendo con il telefonino, come a trasformare quella scena in un trofeo di cui vantarsi.
Il video che circola sul web è stato già fornito agli inquirenti che hanno avviato un’inchiesta. Nè Marsala, nè Augusta, tuttavia, sono teatro di casi isolati: quello delle baby gang è un fenomeno che va avanti da molto tempo e ha coinvolto, negli anni, trasversalmente molte generazioni di giovani, specialmente in contesti sociali degradati. C’è di buono che, sul fenomeno in questione, si sono accessi i riflettori, provocando un terremoto sociale che si spera possa coinvolgere, su più fronti e a più livelli, le famiglie, le scuole e, soprattutto, le istituzioni civiche e sociali.
Cos’è che spinge dei ragazzini di non più di quattordici anni ad allestire teatri di violenze persecutorie a scapito dei loro coetanei più deboli? Forse la noia dei vicoli, come quelli di Marsala, forse le famiglie assenti, forse la scuola, presente, ma mai troppo, che assume quasi un ruolo collaterale nelle vite dei propri studenti. Forse proprio tutte quelle istituzioni a cui, in senso trasversale e a più livelli, oggi, si chiede un intervento tempestivo non solo per contenere il fenomeno, selvaggio e dilagante del bullissimo, ma principalmente per estirparne le radici. I giovani, come le piante, richiedono cure e attenzioni costanti, premure e interessi che coinvolgano, tanto le istituzioni, quanto le famiglie.
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