Arance di Ribera e “schiavi” africani, blitz nei campi: due denunciati. I carabinieri del Nucleo Ispettorato Lavoro unitamente a quelli del Comando Provinciale di Agrigento e della Compagnia di Sciacca hanno effettuato una vasta operazione a Ribera per il contrasto del fenomeno del caporalato e dello sfruttamento del lavoro irregolare.
L’attività è stata svolta in occasione della raccolta delle arance nelle campagne circostanti il centro di Ribera, ove è stata riscontrata una situazione di sfruttamento nei confronti di vari braccianti agricoli provenienti dal nord Africa, approfittando della loro condizione di bisogno.
Denunciate a piede libero alla Procura della Repubblica di Sciacca due persone, tra cui il titolare di un’azienda agricola, per il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.
Riscontrate violazioni alla normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Individuati otto lavoratori in “nero”, di cui 2 cittadini extracomunitari risultati privi del permesso di soggiorno sul territorio italiano. Elevate complessivamente sanzioni per un ammontare di poco più di 25.000 euro.
Il fenomeno del caporalato, si legge in una tesi di laurea all’università di Padova pubblicata sul portale penalecontemporaneo.it, consiste nell’attività di intermediazione e sfruttamento posta in essere da taluni soggetti, c.d. “caporali”, nei confronti dei lavoratori, spesso particolarmente vulnerabili come stranieri privi del regolare permesso di soggiorno ovvero disoccupati. L’attività dei “caporali” trova l’appoggio di datori di lavoro conniventi che assumono i prestatori così somministrati in nero, e ottengono così ingenti risparmi sotto il profilo fiscale e in materia di sicurezza sul lavoro.
Il “caporalato” è un fenomeno criminoso che attinge con particolare efferatezza al bene giuridico della dignità umana, giacché i lavoratori sono reificati e sono considerati unicamente in quanto fattori materiali del processo produttivo. È ugualmente rilevante l’offesa che tale fenomeno arreca al bene giuridico della concorrenza tra le imprese, poiché le imprese che aderiscono al circuito ed ai meccanismi di sfruttamento riescono a presentarsi sul mercato con maggior competitività e a costo minore rispetto ai concorrenti ossequiosi della legalità.
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