Dopo l’individuazione di una molecola capace di frenare l’evoluzione degenerativa nell’Alzheimer, un team di ricercatori statunitensi della Duke University School of Medicine ha scoperto che la comparsa dei primi segni della malattia coincide con alcune modificazioni in particolari cellule immunitarie del cervello.
Queste cellule, denominate microglia, iniziano a consumare dosi elevate di un nutriente, l’amminoacido arginina, fondamentale per il buon funzionamento della memoria. Lo studio, pubblicato sul “Journal of Neuroscience”, dimostra che, bloccando il consumo eccessivo di arginina attraverso un inibitore enzimatico chiamato “difluorometilornitina” (Dfmo), si riduce nei topolini di laboratorio il numero delle cosiddette placche amiloidi, fibrille proteiche il cui accumulo è responsabile della progressiva degenerazione delle cellule nervose tipica dell’Alzheimer.
L’Alzheimer è la più comune forma di demenza senile. In base ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità(Oms) contenuti nello studio “L’impatto globale della demenza 2013-2050”, la malattia colpisce nel mondo più di 25 milioni di persone, soprattutto anziani sopra i 65 anni di età, in prevalenza donne.
Una cifra destinata a triplicare entro il 2030, toccando i 76 milioni di casi. Solo rispetto al 2005, ad esempio, i casi di Alzheimer e demenza, secondo le stime del “Alzheimer Report2014” sono cresciuti del 50%.
Il prossimo passo degli scienziati Usa sarà, adesso, sperimentare la molecola di Dfmo, finora adoperata in test clinici contro il cancro, come possibile farmaco per l’Alzheimer. “Il nostro studio apre le porte a un modo completamente diverso di pensare l’Alzheimer – spiega Carol Colton, tra gli autori della ricerca -. Se riuscissimo a confermare anche negli uomini che il consumo di arginina gioca un ruolo così importante nel processo degenerativo – conclude la studiosa – potremmo bloccarlo, ed invertire in questo modo il corso della malattia”.
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