I Giudici della Corte di Cassazione ribadiscono che “l’intervento in giudizio operato da un chiamato all’eredità nella qualità di erede legittimo del “de cuius” costituisce ACCETTAZIONE TACITA, agli effetti dell’art. 476 c.c., SENZA che alcuna rilevanza assuma la circostanza della successiva cancellazione della causa dal ruolo per inattività delle parti, posto che l’accettazione dell’eredità, a tutela della stabilità degli effetti connessi alla successione “mortis causa”, si configura come atto PURO ed IRREVOCABILE, e quindi insuscettibile di essere caducato da eventi successivi”. Difatti, secondo gli Ermellini, poiché “l’accettazione tacita dell’eredità può desumersi dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, “id est” con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità, essa può legittimamente reputarsi implicita nell’esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che – essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari – NON rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall’art. 460 c.c., ma travalichino il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell’apertura della successione, e che, quindi, il chiamato non avrebbe diritto di proporle se non presupponendo di voler far propri i diritti successori” (Cass. Ord. n. 15504/2024).