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Abolizione delle province in Sicilia: “Svolta Storica?” (Parte I)

Di Mariangela Catalano

La Riforma delle Province e degli enti intermedi, tanto discussa, ostacolata e contestata, è dunque legge.

L’11 marzo, poco dopo le 21.35, l’assemblea regionale siciliana, a conclusione di una maratona d’aula a Palazzo dei Normanni, protrattasi l’intero pomeriggio tra mediazioni, sospensioni e riprese dei lavori, ha approvato il disegno di legge che prevede la sostituzione delle vecchie Province con  i liberi Consorzi di Comuni e l’istituzione in Sicilia di tre Aree metropolitane (Catania, Messina e Palermo), nuovi enti intermedi che rappresentano di fatto uno dei nodi cruciali e più controversi della Riforma.

Una seduta rovente, quella dell’11 marzo, la cui procedura, decisamente inusuale, ha fatto scattare le proteste delle opposizioni, già poco convinte della validità di una riforma ritenuta alquanto “fumosa e farraginosa”, a detta del capogruppo del Ncd Nino d’Asero.

Con il raggiunto accordo finale, nonostante il clima di tensione, l’attività riformista del governo Crocetta ha messo a segno un risultato spendibile mediaticamente. Se è indiscusso il plauso della maggioranza (con 62 voti a favore, contro i 14 contrari e le due astensioni), di cui il Governatore  si dice soddisfatto, perché “legittima un cambiamento storico”, non è certo passato inosservato il colpo di mano messo in atto dal governo che, rischiando lo slittamento del voto finale, ha presentato in apertura di seduta la riscrittura di nove dei 12 articoli del ddl  con ben 21 modifiche ed emendamenti aggiuntivi; un  espediente, questo, che ha permesso così di ripristinare norme già cassate  e respinte dalle opposizioni. Gli emendamenti tecnici di correzione sono stati presentati come “ammissibili” dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone ai sensi dell’art.117 del regolamento interno all’Ars, il quale, però, a rigore d’interpretazione non consentirebbe di apportare modifiche sostanziali nella fase finale del procedimento di approvazione.

Una prassi procedurale, dunque, irrituale su cui pendono dubbi di legittimità e non solo fra i deputati dell’opposizione che lamentano il mancato rispetto da parte del Governo per i lavori d’Aula e il “modo becero di stravolgere il risultato del voto”(Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia all’Ars).

Un fatto è certo: il “voto significativo” (Crocetta) e l’alto consenso di maggioranza hanno riscattato le sconfitte collezionate dal governo durante l’iter di questa faticosa e articolata  riforma che avevano spinto Crocetta a minacciare le dimissioni. Di notevole importanza, ai fini dell’approvazione dell’articolato, è stato in questa occasione il sostegno degli Alfaniani e il supporto del Movimento 5 Stelle; quest’ultimo, tacciato di essersi prestato a “stampella del governo”, avrebbe raggiunto uno degli obiettivi del suo programma, ovvero l’eliminazione dell’Ente provincia e soprattutto della sua componente politica.

Doverosa e necessaria appare a questo punto una precisazione, perché il termine “abolizione” potrebbe prestarsi a fraintendimento.

Le Province, così come sancito dalla Costituzione, trovano attuazione nei territori di riferimento degli Uffici Territoriali del Governo (Prefetture), che nessuna legge nazionale o regionale ha finora eliminato. Pertanto gli Uffici Territoriali (I.N.P.S., I.N.A.I.L., Agenzia delle Entrate, Camera di Commercio, ecc.) continueranno ad esistere mantenendo la loro competenza per il territorio provinciale. In Sicilia le Province sono 9 e 9 rimarranno, senza alcuna proliferazione e/o duplicazione di questi enti. Si potrebbe al massimo ipotizzare che in un futuro possa aver luogo la ridefinizione dei confini provinciali, in funzione dei territori dei nascenti Liberi Consorzi, inglobando o cedendo territori da e ad altri Uffici Territoriali del Governo, ma rimanendo sempre e comunque 9  le province. Ben altra cosa è l’organizzazione amministrativa del territorio, fino a oggi rappresentata dalle Province Regionali, che sì coincidono con i confini degli Uffici Territoriali del Governo, ma non ne sono in nessun modo dipendenti. Le Province Regionali, istituite con  L.R. n.99 nel 1986, sono Liberi Consorzi di Comuni con denominazione Province Regionali: esse rappresentano organi amministrativi di coordinamento, programmazione e promozione del territorio di competenza, a cui sono assegnati compiti e funzioni di area vasta. Quanto detto renderà più chiaro il significato della riforma che si tenterà di analizzare.

Essa, frutto di un “confronto costruttivo tra il governo e le forze politiche aperte al dibattito” – come sottolineato dal presidente del gruppo Pd all’Ars, Baldo Gucciardi,  porrebbe ancora la Sicilia in una posizione di anticipo rispetto alle altre regioni italiane sul percorso della modernizzazione dell’assetto istituzionale, sperimentando un nuovo modello di democrazia. Una legge destinata pertanto a essere un punto di riferimento per il resto d’Italia, capace di proiettare all’esterno l’idea di una Sicilia finalmente innovativa.

A smorzare l’entusiasmo e l’orgoglio di una svolta storica, balzati sulle pagine dei giornali con notevole ridondanza mediatica, non sono mancati i malumori sul possibile rimpasto dell’attuale giunta di governo e le critiche caustiche provenienti dai deputati d’opposizione e da quanti hanno ritenuto, nonostante le convinte rassicurazioni del presidente dell’Ars Ardizzone, che la legge rischiasse di essere impugnata dal Commissario di Stato, in quanto incostituzionale. Un rischio però scongiurato, perché la legge, superandone il vaglio, ha incassato il via libera del Commissario Carmelo Aronica.

Gli accordi e le larghe intese, “più larghe del previsto” e altrettanto smentite, avrebbero comunque fatto incassare al governo il sostegno per l’approvazione dell’articolo chiave della riforma riguardante le città metropolitane; il testo in merito, esito finale di  riscritture e di una paziente opera di mediazione (come sottolineato e riconosciuto da Crocetta), con un emendamento all’articolo 7 prevede l’istituzione di “aree metropolitane”: le tre città metropolitane istituite verrebbero cioè a coincidere territorialmente con le tre aree metropolitane individuate da un decreto presidenziale del 1995 e mai attivate.

Ma a ingenerare perplessità non è stato solo la riesumazione di un concetto alquanto datato in una norma presentata come “innovativa e rivoluzionaria”. Anche i liberi Consorzi di Comuni, a opinione di Vincenzo Gibiino, coordinatore di Forza Italia in Sicilia, si rivelerebbero presto “carrozzoni ancor più elefantiaci e improduttivi delle province; la riforma inoltre non chiarirebbe ruoli e compiti, provocando un caos istituzionale ed esautorando completamente i cittadini e i loro rappresentanti dalla gestione della cosa pubblica”. E una posizione di dissenso e di totale stroncatura è stata palesata da Nello Musumeci che ha definito il ddl “un obbrobrio, un mostro giuridico”.

È difficile orientarsi tra pareri così discordanti, tra l’ottimismo e il disfattismo, come sempre accade nel caso di una svolta istituzionale.

Occorre valutare se le condizioni amministrative del territorio e i servizi ai cittadini guadagneranno efficienza, una volta tentato lo snellimento della macchina burocratica. Ma qui non si tratta di uno scontro tra una visione conservatrice e nostalgica e una progressista realpolitik.

La Sicilia, in merito all’istituzione delle città metropolitane, può vantare la precedenza assoluta sulle altre regioni italiane; la costituzione dei liberi Consorzi di Comuni, invece, rappresenta la tardiva attuazione di quanto prevedeva l’articolo 15 dello Statuto regionale (1946), che articolava l’amministrazione locale territoriale in comuni ed in liberi Consorzi di Comuni denominati Province regionali. Lo statuto siciliano dunque non contempla le Province, istituite per ottemperare alla Costituzione italiana.

L’assenso dell’Ars non conclude in ogni caso questa dibattuta diatriba e non avvia automaticamente le riforme amministrative: “La legge dovrà essere affinata” – come sottolineato  dallo stesso governatore. (Continua)…

Mariangela Catalano

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