A volte ritornano: un mese dalla sentenza USA sull’aborto

Intervista di Filippo Trojano a Giovanni Del Missier, psichiatra psicoterapeuta, presidente della Cooperativa sociale di psicoterapia medica, Roma.

La revoca della sentenza della Corte Suprema statunitense del 24 giugno che dal 1973 aveva reso legale l’interruzione di gravidanza sembra riportare in un lampo le lancette dell’orologio indietro di cinquant’anni. La notizia sta facendo il giro del mondo e fa reagire in modo unanime la gran parte dei governi dei paesi europei mentre le proteste aumentano in molti stati americani. L’attuale presidente Biden ha definito la sentenza “devastante” e nell’incredulità generale ci si interroga su cosa stia accadendo in un momento già estremamente drammatico.
La storia dell’umanità è piena di movimenti oscillanti in cui si verificano passi avanti straordinari e poi, improvvisamente, feroci restaurazioni che portano a porci infinite domande su quali siano i meccanismi alla base di questi pericolosi passi indietro. Ma trovare il bandolo  della matassa è sempre difficile. Quello che sembra emergere chiaramente è un ennesimo attacco alle donne, alla loro identità e libertà. Di fronte a questi fatti il confronto con chi lavora sulle dinamiche patologiche della mente umana ci sembra fondamentale per fare chiarezza e per resistere a queste vecchie idee che poi portano le persone ad un malessere profondo. Abbiamo chiesto al dottor Giovanni Del Missier, autore del volume sulla storia della psichiatria e psicoterapia in Italia dall’unità ad oggi un suo parere.  

Come ha reagito a questa notizia?   “Stupore e indignazione. Stupore nel ritrovarsi di fronte qualcosa di vecchio, molto vecchio, per non dire antico, creduto sparito per sempre. Indignazione per la violenza cattiva che prima ha mosso la mente dei 6 giudici americani e poi muoverà il comportamento degli esecutori fedeli della cosiddetta Legge Suprema”  

“È stata la volontà di Dio” ha dichiarato l’ex presidente Trump; possiamo partire da questa affermazione per capire alcuni aspetti?  
“Affermazione che non stona sulla bocca di Trump di cui ormai ben conosciamo le caratteristiche nefaste. Sembra infatti che nella mente (dal funzionamento assai discutibile peraltro) di alcuni umani ci sia una certa idea, chiamata Dio, che, chissà perché, esprime un forte odio verso le donne. In realtà non esiste nessuna volontà di Dio, esiste invece la ben precisa volontà di certi personaggi, abili a gestire la religiosità popolare. Aldilà della terminologia religiosa adottata opportunisticamente al fine di motivare e mobilitare i credenti, a cosa mirano veramente Trump e la destra conservatrice? Ci vogliono far credere che dobbiamo tutti obbedire ad una Legge eterna, quella della natura biologica. Per essi non ci sarebbero quindi donne ma solo femmine e, anche, non uomini bensì maschi. E questo per una questione di potere da conservare. Da un lato il potere sulle femmine, che devono solo procreare e allattare secondo natura, dall’altro il potere delmaschio a cui spetta, secondo natura, il ruolo virile di guida del branco”  

Cosa significa profondamente questo attacco alle donne e perché nella storia il dominio sul loro corpo e le loro menti sembra sia uno dei punti fondamentali delle dinamiche di potere?  
“Io risponderei così: per l’adesione ad una ideologia millenaria ben precisa, determinata da una visione puramente biologica materialistica dell’esistenza umana, da cui discende una prassi assolutamente razionale, finalizzata alla sopravvivenza della specie. Si può ipotizzare che l’obbligo di legare la donna alla pura dimensione biologica, cioè procreativa e nutritiva, sia dettata dalla insufficiente o assente realtà psichica di certi personaggi, da una identità materialistica e razionale terrorizzata da una qualsiasi ricerca di una realizzazione umana che vada oltre la biologia, oltre la realtà materiale. E’ la realtà psichica la vera nemica, quella dimensione umana che irrazionalmente va sempre alla ricerca della bellezza inutile. La donna è considerata solo un ente biologico, cioè una femmina, da chi non percepisce e non concepisce altro che la biologia, la realtà materiale. Detto in altri termini, per chi rimane ancorato ad un materialismo ottuso e bruto c’è solo l’attività produttiva, che per le femmine è la (ri)produzione di altri esseri viventi, sudditi utili per andare in guerra o al lavoro, e per i maschi la produzione economica dei beni materiali necessari per nutrire i sudditi in aumento”.  

Antiche credenze come il sostenere che un embrione sia persona” sono ancora presenti ed è fondamentale fare chiarezza maggiormente da un punto di vista scientifico perché se non si supera questo equivoco i rischi per la mente di chi interrompe una gravidanza sono tanti e non sono sufficienti le idee di libertà ed autodeterminazione. Quanto è difficile far uscire le donne da un profondo senso di colpa?  
“”Antiche credenze” è una dizione che approverei volentieri se esse non fossero, purtroppo, ancora attuali! Per testimoniare ciò che le rende “antiche” abbiamo degli importanti riferimenti sia in campo legislativo che in quello medico. Nel primo si parte dal Codice Napoleonico (1810) che attribuisce il requisito di persona solo al neonato e si giunge all’articolo 1 del Codice civile italiano (1942) che recita: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”.  Passando al campo medico, si può spaziare dalla anatomia patologica dove da sempre si insegna a distinguere l’aborto dall’infanticidio, per finire poi alla psichiatria con la Teoria della nascita che codifica nettamente la differenza tra nato e non nato. Con quest’ultima formulazione scientifica, resa nota nel 1972 in campo psicoterapeutico, viene finalmente acclarato che la nascita del sentire e del pensare umano cioè di quelle funzioni precipue dell’identità umana si collocano alla nascita come reazioni specie-specifiche del neonato al cambiamento della realtà circostante e del rapporto con essa. La presa d’atto dell’importanza del momento della nascita, cioè della differenza abissale tra un prima, non ancora umano, e un dopo, assolutamente umano, è evidentemente legata alla ricerca di “cos’è l’umano e dove inizia?”. Ricerca imprescindibile per tutti ma in particolare per le donne, pena per esse la confusione e i sensi di colpa per la convinzione di aver soppresso una vita umana. E aggiungerei, doverosamente, anche per gli operatori della interruzione volontaria di gravidanza fortemente esposti a pesanti fenomeni di burn-out. Bisogna essere chiari: la vita umana ossia psichica è dopo la nascita, nel neonato, mentre prima della nascita, nel feto, c’è solo vita biologica. Il feto non ha vita psichica, cioè immaginazione e fantasia ma solo vita biologica (sensazioni fisiche e tracce mnesiche di esse”

Detto un po’ grossolanamente in un percorso psicoterapeutico è fondamentale il recupero della propria nascita ma cosa significa allora l’interruzione di una gravidanza e in che modo ci si può confondere su questo?  
“Se abbiamo ben chiaro la differenza tra feto e neonato, allora in psicoterapia la dizione “recuperare la nascita” significa far recuperare ad un adulto la dinamica che caratterizza la nascita ovvero la capacità di reagire agli stimoli esterni con la propria capacità di immaginare. Egli la deve recuperare in quanto chi sta male ha perso queste capacità specificatamente umane e allora la psicoterapia lo “costringe” a ritrovare innanzitutto la propria reattività umana durante le sedute, dove lo stimolo è la presenza, fisica e psichica, del terapeuta e poi la propria immaginazione durante le separazioni tra una seduta e l’altra, dove lo stimolo, per così dire, è l’assenza materiale del terapeuta. Le due capacità ritrovate permettono poi al paziente di rapportarsi in modo adeguato anche fuori la seduta nei confronti di altre realtà umane, essendo la sanità e la malattia reazioni sane o malate al rapporto con i nostri simili e alle separazioni da essi. Nello specifico il tema “aborto” ci permette, forse meglio di tanti altri esempi, di evidenziare la notevole differenza tra il significato di un fatto e il senso di una rappresentazione. Mentre nella realtà biologica il significato è univoco ed è quello di un fatto ginecologico, nella realtà psichica invece il senso può assumere un valore assai diverso, a seconda dei vissuti e delle modalità rappresentative. Per esempio, in un sogno l’immagine dell’aborto ha, generalmente, un senso negativo, di fallimento, di non riuscita dello sviluppo di una possibilità, che può benissimo non avere nulla a che fare con vicende ginecologiche. Viceversa, nella veglia una gravidanza abortita può assumere al contrario, in determinate condizioni, addirittura un senso positivo, per es. quello di opporsi ad un destino violento imposto da un partner o dal contesto, e, paradossalmente può esser sognata come un parto riuscito!” 

La scienza ci insegna che ogni fatto che accade è collegato ad una causa precedente e le così dette “crisi” sono una dinamica che lei conosce molto bene nel suo lavoro, spesso come reazione a qualcosa di nuovo ed inaspettato che non si riesce a comprendere e accettare; dietro a questa sentenza è ipotizzabile che sia emerso qualcosa di nuovo in modo dirompente che deve essere schiacciato?  
” E’ giusto definire questa sentenza “una crisi” perché significa considerare la violenza e la regressione non dati naturali e immodificabili ma momenti di una reazione malata e quindi modificabile. Tu dici reazione a “qualcosa di nuovo e inaspettato”, cosa può essere in questo caso? Una ipotesi: che sia la possibilità storica di emergenza di una nuova immagine femminile? Nuova rispetto alle streghe dell’alba della modernità, alle isteriche del ‘800, alle schizofreniche e anoressiche del ‘900, una donna ribelle ma non suicida, libera ma non dissociata, e consapevole dei propri diritti. Ma non solo di quelli che sono chiamati i diritti umani cioè quelli di lavorare, di studiare, di fare sport, arte, scienza, di guidare, di votare, di scegliersi il partner eccetera, che sono stati pian piano, più o meno, qua e là, conquistati negli ultimi secoli e che propongono l’uguaglianza tra uomini e donne. Ma anche – è questo lo scandalo? – consapevole di quel diritto squisitamente femminile di procreare o non procreare. Come a dire che le donne possono godere degli stessi diritti degli uomini ma non possono pretendere di accampare un loro proprio diritto specifico, quello sul proprio corpo. Che ci sia l’angoscia che, lasciando alle donne questo diritto, la specie umano si estingua? Sembrano urlare: “Sono 12000 anni che l’uomo insemina e la terra fertile produce, non si può capovolgere il diktat dell’agricoltura!” Perché sarebbe come se la terra, che per loro è come la femmina, potesse decidere di rifiutare il seme che il contadino le mette dentro! E se invece ci fosse un’altra angoscia, quella prettamente maschile di colui che sente avvicinarsi la necessità di farsi, lui ora, inseminare o ingravidare da una “contadina”? Una donna nuova che, guarita dall’invidia della capacità di fecondare del pene, costringa ora l’uomo a guarire dalla sua invidia della capacità di generare dell’utero?”

Intervista e foto di Filippo Tojano