Matteo Renzi, nel suo fluviale intervento al Senato, ha affermato la necessità di riformare il titolo quinto della Costituzione, ma sopratutto ha esplicitamente espresso la volontà di ridimensionare il regionalismo, o comunque di imprimervi un “nuovo corso”. Le intenzioni appaiono buone, poiché egli intende intervenire nella giungla del difficilissimo rapporto tra le Regioni e lo Stato, fonte di interminabili contenziosi e di conseguenti ritardi nella attuazione dei programmi, anche di quelli già finanziati.
Tuttavia, dietro le buone intenzioni spesso si nascondono pericolose insidie. E’ difficile intervenire con puntualità su un testo che ancora non si conosce, basandosi su dichiarazioni generiche. Ma -sia pure enunciato in forme non compiute- il tema è sul tappeto e non si potrà eluderlo, anche in vista delle accelerazioni che il Premier intende dare alla sua corsa verso il cambiamento.
Sorprende come, su una questione di così vitale interesse, che trasformerà il ruolo stesso delle regioni nel quadro istituzionale, e che inevitabilmente rischia di cancellare le peculiarità di quelle a statuto speciale, un assordante silenzio regni nella politica siciliana. Ci chiediamo: l’Assemblea regionale, i gruppi parlamentari, i partiti, ma anche gli uomini della cultura giuridica, gli autonomisti di vecchio e di primo pelo, si stanno ponendo il problema di come atteggiarsi, come intervenire nel dibattito che già a livello nazionale si sviluppa con vivacità e passione ?
In altre parole, con quale idea, prospettiva e programma la Regione intende presentarsi al tavolo attorno a cui si discuterà di un argomento che ne segnerà il destino ? C’è qualcuno che si è posto il problema, che ne studia i risvolti tecnici e quelli giuridici, che ne valuta le conseguenze ? Non è dato saperlo, nulla traspare da un dibattito che sembra interamente assorbito dall’affannosa ricerca di provvisorie maggioranze e di variabili convergenze.
Nel dibattito che è seguito al discorso di Renzi sono intervenuti alcuni senatori che hanno parlato in nome delle regioni di loro appartenenza, taluni rivendicando il diritto al mantenimento della “specialità”, altri osservando che la questione andrebbe affrontata nel più larga ottica del macro-regionalismo, pessima parola in termini linguistici, ma efficace rappresentazione della necessità di affrontare i problemi al livello richiesto dal mondo globale di oggi.
Non abbiamo ascoltato alcun intervento dei parlamentari siciliani sul tema che stiamo trattando. Silenzio.
Silenzio anche di Rosario Crocetta, forse perché troppo impegnato nella tessitura delle condizioni politiche che consentano la sua permanenza a Palazzo d’Orleans. Silenzio -quel che più conta- di un’opinione pubblica annoiata e talvolta disgustata. Vogliamo svegliarci ?