La legge di stabilità votata dall’Assemblea nei giorni scorsi è stata letteralmente fatta a pezzi dal commissario dello Stato. La umiliante e perfino irridente mannaia che la ha triturato conferma che l’Autonomia è ormai una parvenza senza sostanza, un rito senza rilievo. Sul Palazzo dei Normanni, teatro di storia e di cultura, di creatività e di passione, scende una sera politica che tende a farsi notte. Siamo all’epilogo di un cammino che ha ridotto la specialità ad un inganno, lo Statuto a un sogno spezzato.

A nulla vale osservare che la legge in questione è stata concepita male e scritta peggio, affastellando errori tecnici, violazioni del diritto e imprudenti assurdità.. Il punto è anche questo, ma non è il più importante.
La questione centrale resta il ruolo del commissario dello Stato, come si è andato via via configurando nel tempo, in spregio al dettato statutario (e quindi costituzionale) e allo spirito che ne suggerì la istituzione. Leggiamo che alcuni assessori si recano preventivamente (!) dal commissario per sondarne gli umori e indovinare ciò che potrebbe transitare dal suo vaglio. Vaglio divenuto supremo e onnivoro perché cresciuto e distortosi nel tempo con la connivenza di una Regione debole e rassegnata.

Il commissario, nato per vagliare gli eventuali difetti di costituzionalità che potessero riscontrarsi nelle leggi della Regione e altresì in quelle dello Stato, non ha, con tutta evidenza, la potestà di tagliare le norme votate da una assemblea legislativa. Può -se crede- impugnarle dinanzi alla Corte. E soltanto la Corte può cassarle.
Fino a quella pronunzia il presidente della Regione ha il diritto-dovere di promulgarle. Ma è invalsa nel tempo la assai discutibile prassi di pubblicare soltanto la parte non impugnata, facendo cadere tutto il resto. Con ciò si è subito un potere di veto e di censura inaccettabile per una regione autonoma e per un’assemblea legislativa.
Così il commissario, con valutazioni in cui talvolta è difficile trovare il nesso costituzionale, taglia dove crede e quanto crede. E Crocetta annunzia che pubblicherà soltanto quello che il commissario ha approvato.
Siamo al paradosso. Altro che abolizione dei prefetti, come nel sogno dei padri fondatori. L’Assemblea fa le leggi, e un funzionario dello Stato, alto quanto si voglia, le riduce in briciole. E ciò senza un moto di orgoglio e di replica da parte di una classe politica siciliana che appare intimidita e rinunziataria.
Le leggi cattive e sbagliate vanno corrette, è vero. Ma l’Assemblea deve farlo con proprie decisioni e provvedimenti e -se occorre- con ulteriori norme. Non può accettare che qualcuno -cui possiamo riconoscere massima buona fede, ottime competenze e corrette intenzioni – dica, con la matita blu, questo “si” e questo “no”.