Il no della Grecia e il masochismo della sinistra europea

L’Oxi (no) degli elettori greci al piano di risanamento proposto dall’Unione Europea, ha scatenato entusiasmi di piazza, non solo ad Atene, aprendo scenari difficili da interpretare. Senza la pretesa di montare in cattedra, è bene cercare di capire come si è arrivati allo scontro fra il Golia Europa e il Davide Grecia e, soprattutto, che il vero problema non è la resurrezione della sinistra, come entusiasticamente affermano gli epigoni nostalgici del veterocomunismo, ma il riscatto della politica tout court , soppressa dalle lobby finanziarie che si sono impossessate delle istituzioni europee.
La caduta dei regimi comunisti e del muro di Berlino, infatti, ha accelerato il processo di unione monetaria a scapito dell’unione politica, ovviamente molto più difficile da raggiungere, e così il sogno di costruire una Europa dei popoli, sul modello degli Stati Uniti (moneta unica e governo unico), si è trasformato nell’incubo di un Europa che strozza le economie deboli, trasferendo le risorse verso i Paesi forti.
Il meccanismo è semplice, noto da decenni agli economisti, e spiegato in modo chiaro e semplice in tutti i manualetti di politica monetaria per studenti universitari: unificando la moneta senza avere un governo unico, si toglie ai Paesi deboli l’unica arma contro la speculazione internazionale, ossia la possibilità di stampare moneta e creare inflazione. Per fare un esempio comprensibile, quando i titoli di Stato in Lire italiane avevano un tasso superiore al 20%, le banche e le istituzioni finanziarie internazionali non erano interessate ad acquistarli perché, a fine prestito, ricevevano indietro Lire svalutate.
Il debito restava dunque in gran parte nelle mani dei risparmiatori italiani che, nei titoli di Stato, trovavano un antidoto alla svalutazione e il governo non era soggetto a ricatti esterni.
Se invece i titoli di Stato sono in Euro e, come in Grecia,hanno un interesse al 15% perché si paventa il rischio di un fallimento dell’economia ellenica, la speculazione è garantita perché alla scadenza del prestito la restituzione della somma con gli interessi avviene in Euro, conseguendo un guadagno reale.
Si apre così un circolo vizioso: il Paese indebitato emette titoli di Stato per fronteggiare il suo debito ma, per rispettare le scadenze avrà bisogno di nuovi prestiti che non andranno a finanziare l’economia reale, ma solo a pagare gli interessi dei creditori.
A rendere il tutto più opprimente ci sono i parametri di Maastricht che, imponendo il pareggio di bilancio e un limite al rapporto fra deficit e PIL, non solo bloccano la spesa pubblica, impedendo la crescita economica, ma costringono i governi a tagliare il welfare, aumentando così la forbice fra ricchi e poveri.
E qui veniamo al masochismo della sinistra. Chi ha dato vita a questo meccanismo infernale di usura dei ricchi a danno dei poveri?
Il governo di Giuliano Amato nel 1992, con l’adesione ai trattati di Maastricht e i governi di D’Alema e Prodi che, fra il 1998 e il 2001, hanno trattato il controvalore Lira-Euro all’atto dell’unione monetaria.
Il caso di Prodi è emblematico: per oltre trent’anni ha gestito le privatizzazioni dell’IRI, svendendo i pezzi migliori alle grandi famiglie del capitalismo italiano e lasciando a carico dello Stato i carrozzoni clientelari. Con la sua impresa di famiglia (Nomisma) è stato il braccio armato di tutte le banche d’affari internazionali in Italia. Eppure, con questo curriculum da boiardo di Stato protettore del capitale, è diventato l’icona della sinistra e qualcuno dei Piddini anti Renzi ha provato anche ad eleggerlo al Quirinale.
Accettando il cambio di 1936 lire per euro, Prodi ha di fatto dimezzato il valore d’acquisto degli stipendi e dei salari degli italiani. E’ una legge di mercato che, entrando nell’area della moneta unica, i prezzi vadano a collocarsi sui livelli dei Paesi più forti e quindi la conseguenza è stata che ciò che costava mille lire prima del 2001, si comprava a 1 euro dopo l’unificazione, anche perché in Germania il cambio è stato 1 Marco per 1 Euro.
Ma attenzione, il fenomeno non è stato solo italiano: in tutta Europa la storia recente ci insegna che i governi di centrodestra hanno guidato le fasi di espansione economica, quando c’era da distribuire la ricchezza e i governi di centrosinistra sono stati chiamati a gestire le fasi di stagnazione o recessione, quando bisognava far trangugiare i sacrifici alle classi deboli.
La riflessione conseguente è che, evidentemente, le lobby finanziarie internazionali dispongono di mezzi economici e di comunicazione, capaci di orientare le scelte elettorali in tutti i Paesi dell’UE.
Tornando al no della Grecia, non si può essere troppo ottimisti su un cambio di passo dell’UE: poiché le élite politiche dei vari Paesi sono in mano alla Finanza internazionale, non è pensabile che si avvii un reale processo di revisione degli accordi di Maastricht, con l’obiettivo dell’Unione politica, in quanto ciò prosciugherebbe il brodo di coltura della speculazione.
E’ più probabile che i leader europei facciano qualche concessione alla Grecia per salvare l’unione monetaria o, alla peggio, accettino l’uscita dall’euro di Tsipras e compagni, correndo il rischio di ulteriori turbolenze a danno degli altri Paesi in bilico (fra cui l’Italia).
Per avere un vero ribaltamento dello scenario europeo occorrerebbe organizzare altri referendum anti Maastricht, nei vari Paesi strozzati dalla speculazione e dalla austerità: poiché è impensabile che lo facciano i governi al soldo della finanza internazionale, la richiesta dovrebbe partire dal basso, da movimenti organizzati. E’ questa la vera sfida che attende la politica di destra e di sinistra: liberarsi dal giogo delle lobby e riappropriarsi degli strumenti di partecipazione democratica, che sono stati svuotati di significato ed efficacia.